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Trasmissioni sospese in attesa dei soldi e di una legge

Trasmissioni sospese in attesa dei soldi e di una leggeil manifesto del 3 marzo 1990

Le tante battaglie contro la chiusura Già nei primi anni ’90 l’emittente chiedeva di vedere riconosciuta la propria funzione di autentico «servizio pubblico»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 31 maggio 2019
M.D.F.il manifesto del 3 marzo 1990

il manifesto del 3 marzo 1990

Ieri mattina alle 7.30 Radio Radicale ha sospeso le trasmissioni. La decisione è stata presa al termine di una riunione, protrattasi per tutto giovedì, della redazione, dei tecnici e del personale amministrativo, preceduta da un incontro con il segretario del Pr Sergio Stanzani, la presidente del partito Emma Bonino e il tesoriere Paolo Vigevano: se entro 60 giorni non vi saranno fatti nuovi, la sospensione diverrà chiusura definitiva.

Quali possono essere questi attesi fatti nuovi? «Innanzitutto – spiega Massimo Bordin, condirettore dell’emittente – che il parlamento approvi un provvedimento “ad hoc” che sani la situazione economica della radio. Una proposta di legge in questo senso è già stata sottoscritta dai presidenti di tutti gruppi parlamentari, con le sole eccezioni di verdi e Psi».

Per capire come si è arrivati a questa situazione occorre fare un passo indietro: già nel 1986 Radio Radicale sospese le tr smissioni per 2 mesi e rischiò la chiusura, e fu allora «salvata» dalla legge sull’editoria che assicurò tra l’altro un finanziamento agli organi di partito e a quelli in cooperativa. I benefìci di quella legge scadranno alla fine di quest’anno.

Il 23 dicembre scorso il senato, per ovviare a ciò, ha approvato una «leggina» che raddoppia il finanziamento ai primi e prolunga quello ai secondi, escludendo dal provvedimento radio e periodici. Quindi Radio Radicale (se la camera approvasse) alla fine del ’90 rimarrebbe senza più alcun finanziamento.

Ma, secondo Bordin, Radio Radicale chiede altro: non vuole più essere considerata organo di partito (status impostogli nell’86) bensì servizio pubblico: «Dal 1976 siamo gli unici che hanno garantito le dirette dei lavori del parlamento, delle sedute del Csm, dei consigli comunali di Roma, Catania, di importanti processi…e tutto gratis».

Una commissione della camera da tempo studia come garantire la «diretta» dei lavori parlamentari, affidandola alla Rai, ma finora tutto tace, tanto che Nilde lotti, presidente della camera, ha lanciato l’idea di rivolgersi a privati. «La Rai – dice Bordin – per le dirette dal parlamento ha chiesto 200 miliardi, noi ne chiediamo solo 20 per continuare quello che abbiamo fatto finora gratis. Questa cifra ci permetterà di sanare la nostra situazione e quindi stipulare convenzioni con altri enti pubblici».

Attualmente Radio Radicale conta una decina di redattori, altrettanti collaboratori, una 20 di tecnici (la metà dei quali «esterni») e 5 persone nell’amministrazione.
Iniziò le trasmissioni, in ambito locale, nel ’76, anno che vi de per la prima volta esponenti del Pr eletti al parlamento, e nel ’79 divenne rete nazionale (restano ancora «scoperte» Palermo e la Sicilia occidentale).

Da ieri Radio Radicale è muta, trasmette solo un comunicato che spiega i motivi della sospensione delle trasmissioni.

Lunedì vi sarà una conferenza stampa per annunciare le proposte e le iniziative che si intendono assumere per evitare la chiusura definitiva.

Nella «crisi» dell’86 furono aperti i microfoni, senza filtri, a quanti telefonavano, e per qualche settimana fu «radio parolaccia», esperienza unica nella storia della radio italiana e probabilmente mondiale. Cosa attendersi ora?

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