Tramonto dell’American Dream nelle strade desolate di Utica
Cinema Intervista a Lech Kowalski, che racconta gli Stati uniti sottoproletari protagonisti del suo film «I Pay for Your Story»
Cinema Intervista a Lech Kowalski, che racconta gli Stati uniti sottoproletari protagonisti del suo film «I Pay for Your Story»
Per il suo ultimo documentario – I Pay For Your Story, che ha appena presentato nel concorso internazionale di Visions du Réel – Lech Kowalski è tornato nella cittadina in cui ha passato buona parte della sua infanzia: Utica, nello Stato di New York. Una città oggi molto diversa dagli anni Sessanta in cui il regista, figlio di immigrati polacchi, ci viveva con la sua famiglia: da centro «blue collar» dell’industria tessile Utica è diventata un luogo povero, in cui «si può osservare il processo di corrosione del grande American Dream», dice Kowalski nel suo film.
I protagonisti sono proprio i suoi abitanti più poveri – ex detenuti che non riescono a trovare lavoro, tossicodipendenti e intere famiglie senza prospettive – che il regista paga in cambio della loro storia. «Le loro sono le vere storie americane», spiega: quelle che consentono di capire cosa stia realmente accadendo negli Stati Uniti di oggi, dove Kowalski non girava dal 2005 del documentario Diary of a Married Man (tutti i suoi lavori si possono acquistare e vedere in streaming sul sito www.lechkowlaski.com).
Oggi invece il regista sta girando in Francia, dove vive da tempo: «Il nuovo documentario riguarda un gruppo di operai che lavoravano in una fabbrica che ha chiuso , un problema che in Europa sta diventando rilevante quanto lo è negli Stati Uniti. Mi sono trasferito nella loro comunità nel nord della Francia, dove vivrò e girerò per un anno circa».
Una «vera storia» francese in fondo non distante da quelle di I Pay For Your Story, in quanto apre uno spiraglio sul dissesto sociale che – in Europa come in America – ha contribuito all’ascesa di forze oscure.
Come mai ha deciso di tornare a Utica per girare il suo documentario?
Mi sono chiesto a lungo che film avrei potuto fare in America, dove non giro da tempo perché ci sono troppe cose con cui mi trovo in disaccordo. Inoltre non volevo fare un lavoro che fosse troppo generico. Così ho deciso di tornare alle mie radici, al posto in cui vivevo da bambino e che ha avuto una grande influenza su di me. La mia idea era di riscoprire Utica in modo anche da mostrare ciò che sta accadendo oggi in tutti gli Stati uniti: è un microcosmo emblematico di qualunque città in America. Ai tempi in cui ci vivevo era abitata soprattutto da immigrati, che ora per motivi economici sono stati rimpiazzati dalle fasce più povere della popolazione, in particolare African American. Inoltre Utica fa parte di una zona carceraria: ci sono 4 prigioni nei dintorni, quindi la maggior parte degli abitanti sono ex carcerati o le famiglie dei detenuti.
Molte delle persone intervistate nel film dicono di sentirsi trattate e considerate come dei numeri in una statistica, di non trovare lavoro a causa dei loro precedenti penali. Gli Stati Uniti, il posto per eccellenza in cui si poteva «ricominciare da capo», sembrerebbero essere diventati un paese che non dà seconde possibilità.
Ciò che dicono va considerato nel contesto di quello che sta succedendo oggi in America: ci sono ancora tantissimi immigrati che arrivano nel paese. Una prima ondata è stata costituita da musulmani che venivano dalla ex Jugoslavia, e oggi è la volta di molti nordafricani, siriani, iracheni. Da un lato quindi c’è una forte affluenza di questi rifugiati politici o economici che stanno ripopolando posti come Utica, che in parte hanno anche ricostruito e dove spesso gestiscono dei caffè, minimarket eccetera. Ma allo stesso tempo ci sono moltissimi americani che vivono una situazione molto dura. Ad esempio Utica ha una popolazione in gran parte nera, ma ci sono pochissimi business gestiti da african american, perché è molto difficile per loro riuscire a diventare imprenditori . Per cui si crea molta invidia e astio da parte della comunità più povera, che non dispone degli aiuti che il governo stanzia per i rifugiati. È una realtà molto complessa. Le persone più bisognose ricevono comunque soldi dallo Stato: per le medicine, per ogni genere di dipendenza da droghe, per la loro condizione di salute spesso pessima e così via. Se questo venisse a mancare ci sarebbe un tracollo totale, una rivoluzione.
In che modo secondo lei la promessa di Trump – Make America Great Again – influisce su queste persone?
Neanche una delle persone con cui parlo nel mio film vota. Molti di loro non possono perché sono stati in prigione, gli altri si sentono talmente distaccati dal sistema che per loro chi è al potere non fa alcuna differenza: si troverebbero comunque nella stessa situazione. Il discorso è diverso per quel genere di persone che appartengono a una classe sociale diversa, che hanno avuto un lavoro. Un buon esempio è mio fratello più piccolo, che ha lavorato in un’industria tipografica per gran parte della sua vita: ha fatto parte della middle class finché quell’industria non ha chiuso. La sua frustrazione, e quella dei suoi amici e colleghi, li ha portati a votare per Trump: pensano che i più poveri siano un fardello per la società, che non siano intenzionati a lavorare, e credono che Trump eliminerà il sistema del welfare rendendo le cose migliori per loro. È un ragionamento dovuto soprattutto al fatto che la realtà delle cose in America non è conosciuta, i media non ne parlano. I giornali locali di Utica non si occupano mai delle storie vere che accadono in città, a meno che non si tratti di crimini. Ma non viene mai fatta un’ analisi del perché questo accade, viene criminalizzata la povertà stessa.
Perché ha deciso di offrire soldi, e precisamente il doppio della paga minima oraria, in cambio dei racconti dei suoi «protagonisti»?
Cercavo di capire in che modo stabilire una comunicazione con queste persone, specialmente in qualità di uomo bianco, più anziano di loro e con la telecamera in mano. Inoltre volevo fare in modo che raccontando le loro storie fossero nella condizione di riflettere sulla loro situazione, cosa che di solito non fanno perché sono troppo impegnati a sopravvivere. Quando offrivo il doppio della paga oraria minima erano improvvisamente obbligati a mettere la loro vita in contesto. Hanno talmente poco accesso ai soldi, a eccezione di quel minimo che ricevono dal governo o che guadagnano vendendo droga, che anche 15 dollari per loro hanno valore. Non è molto, ma è un modo di dare valore a qualcosa nella loro vita. Tutto è in vendita in America – con Trump presidente ora più che mai – ma sempre a discapito di qualcosa o qualcuno. Per cui, se dobbiamo vivere in questa sorta di mafia istituzionalizzata, penso sia giusto perlomeno dare a tutti una parte del profitto. E in America, se sei povero e non hai un lavoro, l’unica cosa di grandissimo valore che possiedi è la storia della tua sopravvivenza.
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