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Tramonta il Nazareno, si litiga sulle frequenze tv

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Milleproroghe Diritti, il governo batte cassa. Per i forzisti è una ritorsione

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 6 febbraio 2015

Il conflitto d’interessi, quando l’interessato non è al governo, è un fianco scoperto. E lì nemici o ex amici che invece al governo ci stanno, possono infierire. I forzisti non sembrano avere dubbi. Quel che è accaduto nottetempo e precipitato nelle commissioni parlamentari bilancio e affari costituzionali, riunite per discutere il decreto milleproroghe, è chiaramente un attacco agli interessi del loro capo. Una ritorsione contro la messa in discussione – per non dire ancora la rottura definitiva, perché Berlusconi tanto definitivo non intendeva esserlo – del patto del Nazareno. Un avvertimento che va appunto a colpire Silvio Berlusconi, che ormai ha messo in secondo piano il suo partito, lì dove fa più male: le aziende. E lo fa attraverso una riformulazione da parte del governo di alcuni emendamenti parlamentari al milleproroghe, che in sostanza rimette nelle mani dello stesso governo la questione del pagamento dei diritti per l’uso delle frequenze tv in digitale e che porterà Rai e Mediaset a dover sborsare, il 30 giugno, i circa 40 milioni di euro che erano complessivamente stati «scontati» alle emittenti.

La riformulazione degli emendamenti all’articolo 3 (per ora interamente accantonato dalla commissione, che altrimenti sarebbe stata bloccata dai forzisti) dice che «l’importo dei diritti amministrativi e dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze televisive in tecnica digitale, dovuto dagli operatori di rete, è determinato con decreto del ministero dello Sviluppo economico in modo trasparente, proporzionato allo scopo, non discriminatorio ed obiettivo sulla base dell’ambito geografico del titolo autorizzato». Una formulazione che tra l’altro elenca i criteri (il modo «trasparente, proporzionato e non discriminatorio», appunto) indicati nella lettera che la Commissione europea aveva spedito all’Authority per le comunicazioni il 18 luglio scorso, contestando la bozza della delibera della stessa Agcom, approvata poi a fine settembre, sui criteri per la fissazione del canone per l’uso delle frequenze. Una delibera che aveva ridotto gli importi, perché il dovuto non era più calcolato sull’1% del fatturato dei broadcaster, ma trasferito sugli operatori di rete (Raiway e Ei Towers per Mediaset) legandolo alla quantità e alla qualità delle frequenze utilizzate e non ai fatturati. Una delibera già messa in discussione dal governo, che con un decreto del ministero dello sviluppo firmato dal sottosegretario alle comunicazioni Giacomelli, approvato il 29 dicembre e entrato in gazzetta ufficiale il 19 gennaio, era sì tornato al vecchio calcolo basato sull’1% del fatturato, ma stabilendo che dovesse essere pagato, entro il 31 gennaio, solo un acconto del 40% della somma versata nel 2013. In attesa della fissazione definitiva della somma da parte dello stesso ministero.

Dunque, si rinviava la questione. Forza del patto del Nazareno? A sentire i forzisti, che legano la riformulazione dell’articolo 3 (che riporta l’ammontare della somma a quella versata nel 2013) proprio alle tensioni sul patto, sì. Insomma, se ne potrebbe dedurre che nell’accordo entrassero effettivamente anche questioni che andavano al di là delle riforme. In ogni caso a Arcore si mastica amaro tantopiù perché sembra anche in arrivo, con l’accordo di maggioranza sul ddl anticorruzione, l’estensione dell’area di punibilità per il falso in bilancio. Un uno più uno che Berlusconi leggerebbe proprio come «ritorsione» di Renzi. Se non, piuttosto, come un affrancamento del premier dall’ingombrante socio, una volta ottenuto ciò che serviva.

Secondo il sottosegretario Giacomelli, il «Patto» non c’entra, nel senso che i forzisti sono certo nervosi, ma è meglio «tenersi ai fatti e non agli stati d’animo», perché già ad agosto scorso era stata annunciata una riforma del canone delle frequenze. Quel che ora accadrà si vedrà la prossima settimana. L’articolo 3 sarà votato per ultimo, per mandare avanti questioni meno spinose, ma «lo approveremo», assicura il capogruppo del Pd in commissione bilancio, Maino Marchi. Ma se i deputati che avevano in origine proposto gli emendamenti dovessero rifiutare la riformulazione, sarà il governo a dover assumere in proprio la misura. E i forzisti si arrabbieranno ancora di più.

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