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Tragedia di Stresa, il rischio corso senza freni

Tragedia di Stresa, il rischio corso senza freniSopralluogo del Soccorso Alpino sul luogo dell’incidente della Funivia Stresa-Mottarone – LaPresse

Funivia del Mottarone Tre arresti tra cui il gestore Nerini. Per la procuratrice il«forchettone» è stato inserito per aggirare un anomalia che durava da oltre un mese. Non si è trattato di errore umano, la scelta di non rimuovere il forchettone sarebbe stata consapevole e condivisa per «evitare disservizi e blocchi»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 maggio 2021

La svolta, arrivata quasi all’alba, è «molto grave e inquietante». Lo dice Olimpia Bossi, la procuratrice capo di Verbania che coordina le indagini sulla tragedia di Stresa. Il forchettone rosso – ovvero il divaricatore che teneva distanti le ganasce dei freni affinché non si attivassero, rinvenuto tra i resti della cabina della funivia – non era stato dimenticato inserito, ma era stato lasciato lì appositamente per aggirare un’anomalia ai freni, che durava da un mese e mezzo. I tre fermati lo hanno ammesso e, dopo un lungo interrogatorio nella caserma dei carabinieri di Stresa nel quale è stato definito «un quadro fortemente indiziario», sono stati condotti in carcere a Verbania. Sono Luigi Nerini, 56enne di Baveno, in riva al Lago Maggiore, proprietario delle Ferrovie del Mottarone srl e gestore della funivia, il direttore dell’esercizio Enrico Perocchio (che ha lo stesso incarico per la funivia di Rapallo) e il capo servizio Gabriele Tadini. Persone che avevano «dal punto di vista giuridico ed economico, la possibilità di intervenire» e che, secondo gli sviluppi dell’inchiesta, non l’hanno fatto. Le accuse nei loro confronti sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravata dal disastro e lesioni gravissime.

NON SI TRATTA, dunque, di errore umano. La scelta di non rimuovere il forchettone sarebbe stata consapevole e condivisa per «evitare disservizi e blocchi della funivia», che, da quando aveva ripreso servizio, dopo lo stop a causa della pandemia, presentava «anomalie» e «necessitava – lo sottolinea la procuratrice Bossi – di un intervento più radicale, di un blocco più consistente». Interventi tecnici, per rimediare ai disservizi, erano stati «richiesti ed effettuati», uno il 3 maggio, ma, come dichiarato da Tadini nell’interrogatorio, «non erano stati risolutivi e si è pensato di rimediare», e per ovviare allo stop, che avrebbe comportato la perdita di soldi, i tre avrebbero deciso di, spiegano gli inquirenti, «manomettere il sistema di sicurezza», cioè di apporre la staffa rossa per far fronte al problema al sistema frenante, «nella convinzione che mai si sarebbe potuta verificare una rottura del cavo, si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l’esito fatale», precisa la magistrata, che parla di «uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti svolti».

ENTRATA IN FUNZIONE da circa un mese, la funivia del Mottarone era da più giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi. Ma domenica il forchettone, una volta che si è tranciato il cavo trainante della funivia, ha impedito alla cabinovia di restare sospesa e l’ha lasciata precipitare nel vuoto per circa 20 metri, causando la morte di quattordici persone, tra cui due bambini. «Era importante dare un segnale velocemente, con una attività scrupolosa e corretta, nel rispetto di tutti, soprattutto delle vittime», afferma il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania Alberto Cicognani.

Nella mattinata di ieri, inoltre, è stato rinvenuto un secondo forchettone, tanti quanti i freni della cabina, entrambi disattivati dalle staffe. «Ora sappiamo che la tragedia si poteva evitare», commenta la sindaca di Stresa, Marcella Severino. «Il blocco dei freni voluti è di una gravità inaudita», è il parere di Valeria Ghezzi, presidentessa dell’Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef).

LE INDAGINI non sono certo finite. E non solo perché, con l’intervento dei periti sarà necessario confermare quanto emerso dai primi accertamenti, ma perché restano aperti tutti gli interrogativi sul cavo trainante spezzato. «Non abbiamo elementi per ritenere che i due fatti siano reciprocamente collegati, non sono in grado di dirlo», dichiara la procuratrice Olimpia Bossi. «Sulla fune – aggiunge – siamo in attesa di verifiche tecniche del consulente». La ridotta resistenza e la sollecitazione eccessiva sono le due categorie di possibili cause di rottura.

Sarà l’esame diagnostico delle estremità lesionate a dare i primi indizi. La consulenza tecnica è affidata a docenti del Politecnico di Torino e oggi dovrebbe essere effettuato il primo sopralluogo sulla cabina precipitata e nella zona attigua dove, a monte del pilone, c’è la fune spezzata. E a breve potrebbero quindi essere notificate nuove informazioni di garanzia.

Eitan, il bambino di 5 anni sopravvissuto alla tragedia del Mottarone e ricoverato all’Ospedale infantile Regina Margherita, intanto ha riaperto gli occhi. «Il risveglio sta proseguendo ed è stato estubato», racconta il direttore generale della Città della Salute di Torino, Giovanni La Valle. Quando ha aperto gli occhi, Eitan si è trovato di fronte il volto conosciuto della zia.

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