Traffico di migranti, preso un jihadista
Caserta Tunisino a capo di una banda di stranieri. Esultò su facebook dopo gli attentati di Parigi
Caserta Tunisino a capo di una banda di stranieri. Esultò su facebook dopo gli attentati di Parigi
Una banda di trafficanti di migranti è stata scoperta dai Ros nel casertano: in cambio di denaro, facevano rilasciare da aziende compiacenti contratti di lavoro e buste paga fittizie, consentendo agli immigrati di ottenere il permesso di soggiorno. A capo del gruppo Mohamed Kamel Eddine Khemiri, tunisino di 41 anni: «Pronto a morire» per l’Isis, sui social network era molto attivo nel fare propaganda per la causa del Daesh. In arabo aveva scritto sul suo profilo: «Sono isissiano finché avrò vita e se morirò esorto a farne parte». La procura di Santa Maria Capua Vetere ha emesso ieri cinque ordinanze di custodia in carcere e tre obblighi di dimora per gli stranieri componenti della banda, indagati per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al falso documentale. Khemiri è indagato anche dalla procura distrettuale antiterrorismo di Napoli (in collegamento con quella di Bari) per associazione con finalità di terrorismo o, in alternativa, apologia del terrorismo.
In carcere sono finiti Badreddine Aifa, tunisino di 27 anni; Mohammed Charraki, marocchino di 51 anni; Mohammed Kamrul, 42 anni del Bangladesh; Alì Shek, 32 anni, anche lui del Bangladesh. Arrestato ieri mattina a San Marcellino anche Khemiri: precedenti per traffico di droga, dal 2014 è cominciata la progressiva autoradicalizzazione. La sua rete di traffici si basa sulla complicità di Shek e Kamrul, titolari di due aziende tessili nel casertano: sono loro a predisporre i contratti di lavoro fittizi e le false buste paga. Ad Aifa e Charraki il compito di trovare persone disponibili a fare false dichiarazioni di ospitalità presso la questura di Caserta, ogni pratica costava al migrante 600 euro. Ma ricorrevano anche a matrimoni di comodo o imprenditori italiani.
In particolare, l’accusa per Khemiri è di aver «incoraggiato sentimenti di acceso antisemitismo e antioccidentalismo sui profili di facebook e twitter», avrebbe svolto «un’attività di proselitismo inducendo alla radicalizzazione religiosa alcuni immigrati di fede musulmana» anche attraverso la diffusione di un vademecum con le regole del «jihadista solitario». Non era però in procinto di entrare in azione, ha spiegato il generale del Ros Giuseppe Governale: «La possibilità di colpire in Italia era prevista in termini concettuali, un potenziale attentatore solitario. E’ un tipo intelligente che sapeva farsi ascoltare. E tra l’altro era il factotum della moschea di San Marcellino». Khemiri, soprannominato Bin Laden, viveva nell’appartamento sopra il luogo di culto, non si è mai fatto fotografare con armi, ma accoglie con favore («giustizia è fatta») azioni come gli attentati a Charlie Hebdo («Per quanto riguarda quel giornalista che ha fatto quelle vignette che ledono l’Islam – scriveva – ha avuto ciò che si merita»), a Copenaghen, a Tunisi nel Museo del Bardo e a Nizza. A gennaio 2015 un arabo accoltella nove israeliani a Tel Aviv, Khemiri commenta: «Allah è grande. La migliore mattinata della Terra Santa».
Sul suo profilo facebook campeggiava la foto di una bandiera francese calpestata da un anfibio. Intercettato nella sua auto, Khemiri sentiva continuamente litanie islamiche, si collegava spesso con siti legati all’Isis, chattava con persone orbitanti nella galassia del fondamentalismo. Tra i suoi contatti social, Adil Abaad: per l’accusa un saudita espressione del Califfato islamico. Tuttavia il gip del Tribunale di Napoli aveva in precedenza rigettato per due volte la richiesta di arresto poiché ha ritenuto che Khemiri non avesse «compiuto alcuna azione concreta o preparatoria». Prende le distanze da Khemiri l’imam di San Marcellino, Nasser Hidouri: «Non era il guardiano o il tuttofare della moschea, non ho mai notato nulla circa il suo presunto processo di radicalizzazione».
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