Tradizione o ricezione? La presenza  dei classici nella coscienza storica
Il poeta irlandese Seamus Heaney a Mantova nel settembre 1995, foto Leonardo Cendamo / Getty Images
Alias Domenica

Tradizione o ricezione? La presenza dei classici nella coscienza storica

Studi classici «Vivendo vincere saecula», Eut, a cura di M. Fernandelli, E. Panizon, T. Travaglia: Da Curtius a Jauss, la storia degli studi ci invita a distinguere i confini critici (e la terminologia) di una «disciplina» in crescente espansione
Pubblicato più di un anno faEdizione del 16 luglio 2023

Da tempo ormai i cosiddetti Reception Studies hanno acquisito un notevole spazio nella ricerca sul mondo antico, prima all’estero e poi anche in Italia. Volumi, articoli scientifici, collane, centri di studio, insegnamenti universitari, anche uno speciale estivo sulle pagine di «Alias»: la ‘fortuna dei classici’ è un tema che risveglia interesse e che stimola studiosi e lettori colti. Il volume Vivendo vincere saecula Ricezione e tradizione dell’antico, curato da Marco Fernandelli con Ermanna Panizon e Teresa Travaglia (Eut Edizioni Università di Trieste, pp. 459, euro 35,00, ediz. digitale ad accesso aperto), offre su questo argomento un chiaro inquadramento teorico e una serie di letture puntuali interdisciplinari.

La rilevanza del libro è resa subito evidente dal contributo introduttivo scritto da Fernandelli. Qui non solo si ripercorrono le tappe più importanti della storia di questi studi, da Curtius a Jauss e Snell, ma viene soprattutto offerta una precisazione terminologica sui concetti troppo spesso confusi di ‘fortuna’, ‘tradizione’ e ‘ricezione’ dei classici. Distinguere con consapevolezza i confini critici entro cui ci si può muovere sfruttando le proprie competenze è necessario per avere un approccio fecondo, non banalizzante né dilettantistico.

Conoscere le modalità di circolazione dei testi antichi, individuare tessere intertestuali classiche in opere appartenenti a periodi molto distanti, apprezzare la funzione dell’antico in testi in cui esso si abbina ad altri elementi a volte ben più importanti: si tratta di operazioni che certo sfumano l’una nell’altra, ma che sono essenzialmente diverse tra loro e per le quali lo studioso deve ricorrere a strumenti diversi. In queste pagine Fernandelli mantiene con eleganza il difficile equilibrio tra teoria e prassi della ricerca: scrivendo da latinista ribadisce come la letteratura dei Romani sia per suo statuto particolarmente adatta a essere messa alla prova sul piano della Reception: nasce, infatti, come ‘secondaria’ rispetto all’esperienza letteraria ellenistica, innestandosi su di essa attraverso la tecnica raffinata della traduzione ‘agonistica’.

E se questo equilibrio rappresenta la cifra stilistica unificante dell’intero volume, un elemento particolarmente apprezzabile è costituito dall’attenzione alla scuola rappresentata dai due contributi finali. Le potenzialità didattiche degli studi sulla ricezione non sono certo ignote agli insegnanti di discipline umanistiche. Ma la virtuosa novità presente nel libro è il legame strettissimo tra didattica e ricerca scientifica da cui scaturisce la convinzione, del tutto condivisibile, che queste proposte di lavoro possano accrescere le motivazioni degli studenti e spingerli verso una lettura ‘da vicino’ dei testi antichi.

E così Travaglia basa la sua proposta per la scuola sullo studio dedicato da Fernandelli a Seamus Heaney, mentre Panizon trasforma la propria ricerca sul riuso della retorica classica nella trattatistica d’arte rinascimentale in un’unità didattica interdisciplinare. Entrambi i contributi sono presentati con concretezza e vi vengono ben delineati destinatari, obiettivi, discipline coinvolte, gestione dei tempi e attività interattive praticabili in classe. È auspicabile che materiali come questi sempre più siano a disposizione dei docenti della scuola secondaria.

Come ci si può attendere, in un libro dedicato alla tradizione e ricezione dell’antico trovano spazio diverse forme artistiche (letteratura, teatro, musica, arte) realizzate in diversi momenti storici (dalla tarda antichità al Medioevo fino ai giorni nostri). Vasari, Leon Battista Alberti, Hofmannsthal, Leopardi, Petrarca, Pound, persino le decorazioni interne dei transatlantici italiani tra gli anni venti e cinquanta del Novecento: i rivoli dell’antico sono infiniti e ogni lettore potrà trovare spunti in questo volume.
A me piace ricordarne due.

L’appassionato contributo di Caterina Carpinato sulla presenza di Eschilo nella Grecia moderna è una riflessione attuale e ‘politica’ che implica considerazioni non solo linguistiche e culturali, ma addirittura ‘psicanalitiche’ relative alla natura del rapporto di questo Paese con il proprio passato. L’elegante lettura della Didone di Christopher Marlowe proposta da Antonio Ziosi non svela soltanto le ben note tessere virgiliane e il più sorprendente influsso di Ovidio su questa tragedia, ma diventa l’occasione per rileggere le Metamorfosi e individuare nel testo allusioni virgiliane finora rimaste nascoste.

Quando guardiamo all’antico, spesso indossiamo inconsapevolmente diverse paia di lenti graduate e colorate. Siamo cioè condizionati dalla fruizione di testi e opere a loro volta influenzate dall’antico. Gli studi sulla tradizione e la ricezione dei classici ci permettono di avere coscienza di queste lenti, di provare a toglierle e sostituirle con una lente di ingrandimento che ci faccia studiare i testi da vicino. Rimetterle, poi, sarà ancora più bello, perché i colori che l’antico continua a riverberare sulle diverse forme d’arte innervano la nostra cultura e le danno luce.

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