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Tracollo Ue e in Italia recessione a due cifre

Paolo Gentiloni Commissione EuropeaPaolo Gentiloni – Commissione Europea

Non sarà una crisi come le altre cento crisi degli ultimi trent’anni. E, per quanto riguarda l’Europa, non si potranno fare paragoni nemmeno con quella degli anni Trenta. Le ultime […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 8 luglio 2020

Non sarà una crisi come le altre cento crisi degli ultimi trent’anni. E, per quanto riguarda l’Europa, non si potranno fare paragoni nemmeno con quella degli anni Trenta.

Le ultime stime per la zona euro sono drammatiche. «Crisi più forte delle attese», ha ammesso il Commissario agli Affari Economici dell’Ue Gentiloni.

Le previsioni economiche d’estate della Commissione parlano infatti di un crollo del prodotto lordo dell’8,7%, che non sarà recuperato certamente l’anno prossimo.

E, in questo quadro, di un vero e proprio tracollo dell’economia italiana. Recessione a due cifre, Pil giù dell’11,2% (il doppio della Germania), maglia nera tra i Paesi che adottano la moneta unica.

Numeri che preconizzano un «futuro funesto» per milioni di persone. Si rischia una crisi sociale di proporzioni gigantesche.

 

Mappa previsioni economiche d'estate della Commissione Europea
Previsioni economiche d’estate della Commissione Europea

 

L’Ocse, nel suo Employment Economic Outlook 2020, rileva che nei primi tre mesi dell’anno l’Italia ha già perso circa 500 mila posti di lavoro e che un altro milione si potrà perdere da qui alla fine dell’anno.

Siamo usciti dal confinamento ma l’economia non gira. Basta dare un’occhiata agli ultimi dati sull’inflazione: a maggio -0,2% sia su base mensile che su base annua, 0% le previsioni per il 2020.

Deflazione «cattiva», da carenza di domanda, veleno per l’economia.

È una regola semplice. La crisi porta alla perdita di posti di lavoro e, in generale, ad una contrazione dei redditi delle persone. I consumi diminuiscono e le imprese riducono i prezzi. I consumatori, però, rimangono prudenti, rinviano le spese non essenziali, aspettando che i prezzi scendano ancora un po’.

L’impresa, a sua volta, riduce ancora i prezzi e contestualmente inizia a licenziare. Aumenta ancora la disoccupazione, cala ancora la domanda, riparte il meccanismo della riduzione dei prezzi.

È la «spirale della deflazione». Ciò che stiamo rischiando, pericolosamente, nel nostro Paese.

Se ci fossero dubbi, basta leggere alcune pagine dell‘indagine straordinaria sulle famiglie appena condotta dalla Banca d’Italia. Più della metà della popolazione italiana ha visto diminuire il proprio reddito in questi mesi e un terzo delle famiglie dichiara addirittura che, in assenza di nuove entrate, avrà risorse finanziarie sufficienti solo per i prossimi tre mesi.

La crisi inusitata sta virando sempre più verso scenari noti. Noti sono i rischi, note dovrebbero essere le strade da percorrere per evitare la catastrofe.

O si mettono soldi in tasca ai cittadini o l’autunno sarà durissimo, verrà giù tutto.

Anche il rischio di insolvenza delle aziende – altro spettro che aleggia nei nostri cieli- si combatte sostenendo i redditi delle famiglie.

A che serve tagliare le tasse alle imprese se non c’è domanda dei loro prodotti? È assurdo che dopo i traumi e le risalite del Novecento, si continui a ragionare con le categorie settecentesche di Jean-Baptiste Say.

Non è l’offerta che crea la domanda, per intenderci. Ed è inutile menarla con la storia della riduzione del cuneo fiscale e con quella, davvero ipocrita, della diminuzione delle imposte (per la stragrande maggioranza degli italiani il problema non è l’imposta sul reddito ma il reddito stesso).

Semmai, proprio adesso bisognerebbe aumentare le tasse a chi ha molto, redistribuendo la ricchezza verso il basso. Più uguaglianza anche per curare le ferite dell’economia.

È il momento che lo Stato faccia fino in fondo la sua parte.

Bisogna redistribuire il lavoro che c’è e crearne di nuovo con una corposa infornata di assunzioni nel settore pubblico, nei comuni, nella scuola, nella sanità (negli ultimi due anni sono stati circa 200 mila i dipendenti pubblici andati in pensione), accompagnando tutte le misure occupazionali e di sostegno al reddito ad un potenziamento del welfare state.

Lavoro e reddito di base, che non può essere barattato con un alleggerimento dello stato sociale. Non si possono lasciare i cittadini nel dilemma di dover scegliere tra carità di stato e salari di fame.

Dove prendere i soldi? Tra marzo e maggio il nostro Paese ha fatto due manovre per un valore di 80 miliardi. Dando soldi anche a chi ha guadagnato con il lockdown. I soldi europei saranno in gran parte a rendere e i tempi si annunciano lunghi.

Debito per debito, si torni allora sul mercato. Subito. Che dalla ripartenza dell’economia e dalla riduzione delle disuguaglianze ne guadagneranno in prospettiva anche i conti pubblici.

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