In uno dei tanti mondi paralleli è probabile che oggi molti giornali stiano celebrando uno sciatore italiano ventiduenne che si è appena affermato in una celebre pista svizzera. Nel nostro universo, invece, i media esaltano quello stesso sciatore nato a San Candido che ha preferito trasformarsi in un giovane tennista e si è aggiudicato gli Australian Open, un torneo che nessun italiano aveva mai vinto. In precedenza, Steffi Graf, Monica Seles, Martina Hingis, Serena Williams, Pete Sampras, Andre Agassi, Roger Federer, Rafa Nadal, Novak Djokovic, solo per limitarci agli ultimi quarant’anni, sono state attrici e attori di uno spettacolo per cultori della materia incuranti del fuso orario, con un’impennata pop quando Federer e Nadal si affrontarono nella memorabile finale del 2017.

POI, improvvisamente, è arrivato Jannik Sinner, quello che il 12 febbraio 2018 era numero 1592 del mondo. Qualcuno si era accorto della sua presenza prima, altri dopo, magari per digitare sulla tastiera un assurdo rancore a causa di una banale sconfitta. A questo punto, però, ha poca importanza stabilire il grado di fedeltà e la purezza di un sentimento. Il dato certo è che esiste un nuovo campione e che, per un lungo periodo, promette di essere un fenomeno di massa come lo sono stati in precedenza Alberto Tomba, Marco Pantani, Valentino Rossi e, se non fossimo prigionieri del patriarcato, Federica Pellegrini, Sofia Goggia e Federica Brignone. Con la differenza che Sinner, pur molto giovane e riservato, ha attraversato una fase di maturazione visibile a tutti, nell’era dei social media e dei commenti gratuiti. La vittoria contro Medvedev è il manifesto di una maturità acquisita con metodo

SOTTOPOSTO, sin da teenager, a una pressione mediatica che i suoi «colleghi» si sono in parte risparmiati, quanto meno fino alla consacrazione. Non sempre tifosi e appassionati della prima e dell’ultima ora si sono trovati concordi nel condividere un medesimo immaginario e concedersi un’euforia collettiva. Ad esempio, Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Sara Errani e Roberta Vinci, in questi giorni, avrebbero meritato una citazione in più perché sono le giocatrici che hanno tenuto in piedi uno sport altrimenti legato a lontane vittorie sul finire degli anni Settanta, con Adriano Panatta a interpretare il ruolo del protagonista principale. La storia di Sinner è di quelle che retoricamente si potrebbero definire edificanti. Una famiglia aperta ai desideri e ai divertimenti del figlio (chiedere ad Agassi per situazioni diametralmente opposte) e per niente invasiva (in questo caso rivolgersi a Stefanos Tsitsipas per chiarimenti su genitori opprimenti). Un atleta disposto a migliorarsi sperimentando ed eseguendo, ad andare avanti e se necessario a tornare indietro, e persino a compiere un parricidio sportivo, quando si è trattato di sostituire il mentore Riccardo Piatti con il duo di allenatori composto da Simone Vagnozzi e Darren Cahill.

LA VITTORIA di domenica contro Daniil Medvedev è un manifesto di quanto appena descritto. Sotto due set a zero da favorito, si è riscoperto in una condizione familiare. Nei precedenti sei Slam, cinque volte aveva perso nel quinto e decisivo parziale. Nella finale di Melbourne, ha assorbito le precedenti lezioni, ha saputo attendere, superando la frustrazione di gesti che non erano più fluidi, resistendo alla tentazione di lasciarsi andare quando tutto sembrava perduto. Mostrando un tipo di calma (che ricorda Federer) e determinazione (più Nadal) nel cercare la soluzione al problema che rende questo giovane campione una specie di alieno diviso tra folle di tifosi e feroci detrattori.
Nel mondo parallelo dello sciatore, la stagione volge quasi al temine. In quello del Sinner tennista, siamo solo all’inizio di un percorso pieno di soddisfazioni e insidie, perché come in ogni buon racconto vecchi e nuovi «nemici» si profilano all’orizzonte e stanno riguardando con attenzione i primi due set giocati nella finale di Melbourne alla ricerca di un punto debole.