Il 22 ottobre saranno passati dieci anni dalla morte di Marcello Cini. L’Accademia dei Lincei ha scelto di ricordare questa importante figura di fisico, filosofo e militante politico con un convegno dal titolo «Marcello Cini tra scienza e critica», che si apre oggi nelle sale di via della Lungara a Roma.

CINI È STATO uno dei fondatori del manifesto, partecipando sin dagli inizi sia alla sua avventura politica che a quella editoriale, essendone anche direttore per un breve periodo. Ma è stato anche un fisico teorico brillante, un filosofo della scienza originale e creativo e tra i fondatori dell’ecologia politica italiana.

Tutta la sua traiettoria è stata caratterizzata da un’invidiabile indipendenza intellettuale. Dopo aver vinto la cattedra di Fisica Teorica della Sapienza di Roma a poco più di trent’anni, Marcello Cini ha raccontato dall’interno dell’accademia come la comunità scientifica e la società non fossero due mondi separati, e che la prima è mossa dagli stessi interessi e conflitti che agitano la seconda.

A Cini è legato indissolubilmente il pensiero della «non-neutralità della scienza» esposto nel saggio L’ape e l’architetto (Feltrinelli, 1976), uno dei capisaldi della controcultura degli anni Settanta scritto insieme ai più giovani colleghi Giovanni Jona-Lasinio, Giovanni Ciccotti, Domenico De Maria. Nel libro veniva argomentata l’idea secondo cui la produzione di conoscenza, anche quella di base, non è slegata dalle applicazioni che essa genera. L’allocazione dei finanziamenti e l’organizzazione della ricerca, infatti, stabiliscono quali problemi valga la pena affrontare e nell’interesse di chi, prima ancora delle loro ricadute pratiche.

LA COMUNITÀ SCIENTIFICA si sentì improvvisamente investita di una responsabilità di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Oggi, tuttavia, l’attualità di quella tesi è piuttosto evidente e la giornata ai Lincei ne è testimonianza. Molti dei colleghi che allora si indispettirono furono al fianco di Cini qualche decennio dopo, quando a difesa della laicità dell’università si oppose (con successo) all’invito a Joseph Ratzinger a inaugurare l’anno accademico della Sapienza.

CINI PERÒ NON AMAVA il dibattito un po’ asfittico dell’accademia e partecipò in prima persona alle battaglie sull’impatto sociale del progresso, dal disastro di Seveso alla lotta contro il nucleare.

Fu tra i fondatori di Legambiente e delle riviste che per prime portarono in Italia l’ecologia politica e le teorie della complessità (soprattutto l’amato Gregory Bateson); animò i corsi delle «150 ore» in cui docenti, studenti e operai si incontravano nell’università: accettò anche la candidatura nelle liste di Sinistra Ecologia e Libertà.

A ricordare la sua vicenda intellettuale e politica saranno il premio Nobel Giorgio Parisi, Elena Gagliasso, Giovanni Jona-Lasinio e Sergio Bellucci, che con lui hanno condiviso ricerca e militanza. Con loro anche la nuova generazione di storici della scienza che fanno tesoro della lezione ciniana come Giulia Rispoli, Mauro Capocci, Pietro Omodeo e Simone Turchetti.