«Stanotte il cielo è un mandorlo fiorito / e nella valle il cuculo già freme» canta un giovanissimo poeta diciottenne e sembra che Giulia Napoleone abbia voluto rendere omaggio a lui e alla lucana Valle del Basento con la sua opera in esposizione nella mostra collettiva, inauguratasi ieri alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma (fino al 19 novembre). «E la mia patria è dove l’erba trema – 45 artisti d’oggi rileggono l’opera di Rocco Scotellaro», questo il titolo della mostra, è un’altra tappa di perlustrazione nel mondo del poeta lucano che il gruppo coordinato da Franco Vitelli, studioso e curatore delle opere di Scotellaro, sta portando avanti in un progetto della Regione Basilicata nel centenario della nascita dell’autore di Sempre nuova è l’alba.

Curata da Giuseppe Appella, la rassegna nasce dall’idea di consegnare a 45 artisti di generazioni diverse e che hanno attraversato in qualche modo anche lo specifico della poesia, il volume Tutte le opere di Scotellaro (Mondadori) e produrre una loro composizione che dialoghi a distanza col poeta-sindaco socialista di Tricarico.
È nato così questo viaggio dentro i sogni e i tormenti di Rocco che Mimmo Paladino, Mario Cresci, Giulia Napoleone, Emilio Isgrò, Assadour, Ernesto Porcari, Gregorio Botta, Giuseppe Modica, Francesco Arena, Veronica Bisesti, Giuseppe Salvatori, Roberto Almagno e tanti altri hanno reso al meglio restituendoci l’anima più profonda di un poeta e politico che sta vivendo un revival eccezionale anche in mondi apparentemente distanti e fa persino da «apripista» a un tentativo di interrogarsi sulla politica e sulla letteratura in un mondo che sembra aver smarrito da tempo le coordinate forti di entrambe.

Racconta Appella: «Scotellaro prima di nascere alla poesia nasce all’arte. Quando incontra adolescente Mauro Masi parlano di Cézanne e questo stimolo verso l’arte se l’è portato dietro. Quando è venuto a Roma l’arte è stata per lui un nutrimento. La mostra in fondo è una sorta di restituzione, nasce appunto da un nutrimento reciproco: di poeti che hanno bisogno degli artisti e di artisti che hanno bisogno dei poeti».
Significativi in tal senso sono i testi che gli artisti hanno voluto come accompagnamento delle opere. Gregorio Botta, citando i versi «sradicarmi? La terra mi tiene/e la tempesta se viene/mi trova pronto», scrive: «In questa poesia del 1941 c’è tutto: l’anima di un poeta venuto da dove non te l’aspetti e non se l’aspettavano gli intellettuali dei suoi tempi. Dalla polvere, dal fango, dai sassi, dal sudore. Ma anche dagli orizzonti vasti, deserti, infiniti».
E Mario Cresci, che ha vissuto anni in Basilicata e ha moltiplicato lì l’ossessione dei volti nelle sue foto: «A Tricarico, nel paese di Rocco, quando mi avvicinavo alle persone con il desiderio di conoscere le loro storie erano sempre i loro volti lo specchio perfetto delle loro narrazioni».
Emilio Isgrò mette decisamente i piedi nel piatto: «Forse la letteratura e l’arte non portano a niente. Ma la buona politica sì, ed è di arte e di letteratura, cioè di sogni disinteressati e forti, che oggi ha bisogno la politica per rifondarsi». E il viaggio multiforme, pittorico-fotografico-scultoreo approntato alla Galleria nazionale dentro il mondo di questo straordinario poeta che seppe intrecciare i suoi destini artistici con le classi umili risalta nelle opere come mito. Un mito giusto, non sostitutivo ma rafforzativo di un’opera, quella di Scotellaro, che sembra conoscere dopo tanti anni una seconda giovinezza.