Di sicuro è stato uno degli avvenimenti teatrali della stagione: una impegnativa versione che Mimmo Borrelli ha orchestrato della sua imponente Opera in transizione, anime pezzentelle dalla faccia sporca. Una impresa resa possibile grazie anche alla collaborazione sostanziale del Teatro Bellini, dove per altro da un paio d’anni l’artista di Baia insegna nei corsi di teatro. Forse sarà stata anche l’esperienza di esser cresciuto, e di non aver mai voluto abbandonare, le origini presso la Solfatara attorno a Pozzuoli, dove praticamente ogni giorno letteralmente «la terra trema» (senza essere un film di Visconti…) a suggerirgli una visione del mondo: di quello reale, e di quell’altro non propriamente visibile, ma non meno coeso.
Lo spettacolo (ma verrebbe da dire il «rito») per tante sere, fino ai giorni scorsi, si è celebrato nell’ipogeo della seicentesca chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio, ad Arco.

LE «ANIME PEZZENTELLE» sono quelle che cercano dal Purgatorio altre persone che le aiutino a emanciparsi da quello stato per raggingere l’agognata meta del Paradiso (e Borrelli fa notare che il termine «pezzentelle» derivi proprio dal latino petere, ovvero cercare…). Ma quella ricerca a cui lo spettacolo ci introduce (tra partecipazione e una vena di voyeurismo) è una analisi molto concreta, delle loro vite e dei «peccati» che vengono loro attribuiti, e impediscono di accedere in pace alla vita eterna. Non si tratta quindi di un rito religioso, ma di una vera esplosione di sincerità autobiografica da parte di quei «peccatori», attraverso le parole ma anche le pose che assumono e la musica che intonano. Si potrebbe definire un vero kolossal, data la ricchezza dei temi ma anche la loro assoluta contemporaneità all’oggi. Citazioni bibliche e cronache popolari si intrecciano in una narrazione unitaria, dove l’aspetto strettamente «morale» è talmente intrecciato alla quotidianità dei Quartieri da costituire uno straordinario unicum, in cui ci si può immedesimare, perdere, e in qualche lampo anche «scandalizzare».

MA L’ASPETTO forte, e straordinario dello spettacolo, insieme alla sua ambientazione sotto la chiesa di Santa Maria delle anime sante del Purgatorio, è la possibilità per ogni spettatorre di potersi in qualche modo «specchiare» in quel panorama di peccato, che ha in ballo il premio non quantificabile della vita eterna. Anche perché colpe e peccati sono raccontati, e cantati e in qualche modo danzati,come fatti odierni di cronaca, di cui tutti abbiamo quotidianamente notizia sui giornali. E fa impressione apprendere come storielle e storiacce che ognuno può trovarsi a vivere, magari nella propria ricerca, illusoria e ingenua della felicità, si facciano «teologia» e interpretazione del mondo.

VALE RICORDARE la classificazione classica, aggiornata alla vita quotidiana di oggi, che lo spettacolo estrae dai sacri testi religiosi. Una contesa che si scatena e perpetra a partire da una leggendaria creatura dell’infelicità, Lucia d’Amore, costretta ogni cento anni a morire e assumere un’altra identità. Il gioco della redenzione prende così corpo nella vita e nelle pulsazioni quotidiane, animato da una lingua scoppiettante fino allo scintillio, ma sempre dentro il condizionamento di una vita eterna anche nel dolore e nella infelicità.
Come in una tenzone, letteraria quanto sanguinosa, la spinta alla redenzione trova a doversi controntare con tutto l’universo della colpa davanti a Dio (e al mondo). Peccatori cui viene concessa udienza e ascolto per le colpe di cui hanno peccato, ben organizzate, come neanche nel catechismo di san Pio decimo: introdotti da Masaniello, eroe nazionale, ecco succedersi superbiuse, guallaruse (gli accidiosi), ghiuttunare, mmeriuse (invidiosi), arraciuse (iracondi) e rattuse (lussuriosi). Tutti vittime del peccato, a capo del quale campeggia però Lucia D’Amore. Le Anime pezzentelle assumono così il valore di un catalogo, morale certo, ma che il visionario Borrelli trasforma in un impagabile campionario di comportamenti, dove ogni spettatore, volendo, può scegliere il proprio… ruolo.