Tra pagliacci impagliati e chitarre metal
Note sparse «Acid disorder», è il settimo lp per i milanesi Giöbia
Note sparse «Acid disorder», è il settimo lp per i milanesi Giöbia
Mitologia posteriore, forse anche postuma – come impulso elettrico, eco eterna che sopravvive in una morta animula vagante nello spazio, oppure… osso di serpe trasportato alla deriva da onde magnetiche –; campi a perdita d’occhio di rif a note larghe; varchi iemali aperti all’improvviso tra due lunule; e ancora, epopee, brulichii d’amplessi, d’ipersessi: Acid Disorder dei Giöbia (al loro settimo lp) si muove in quell’arco che va dal rock psichedelico fino agli slarghi dello space-rock, in un’avventura che è musicale, plastica, rituale.
È UN RITO pagano, astrale, perfettamente sintetizzato dalla copertina del vinile (tra le più belle viste negli ultimi anni) illustrata da Trevor Tipton, dentro quell’ampio immaginario teso tra fantastico, fantascienza e horror, che tiene insieme gli «Urania» o «I racconti di Dracula», il cinema di Bava e l’animazione più cupa e stellare di Leiji Matsumoto. In effetti la grafica, l’illustrazione attraverso cui si presenta l’lp sono un aspetto fondamentale di questo genere di dischi: il più delle volte ne definiscono l’essenza sonora, il tipo di partitura oltre a contribuire a rendere il vinile una sorta di feticcio, un oggetto dotato di una sua estrinseca, fantasiosa bellezza. Acid Disorder oltre alle edizioni digitali è uscito in tre versioni di vinile: la più rara, una mistione viola-verde, di buona qualità audio, è quella sottoposta sia alla prova delle valvole che dello «stato solido» (sotto il segno glorioso, anacronistico di Praecisa). Si tratta di un disco magnifico che pone il gruppo milanese ai vertici della psichedelia contemporanea: tutta una teoria di tastiere, d’organo, di synth officianti spazi, cioè il fondamento numinoso eretto da Melissa Crema e su cui intervengono chitarre in hard-rock o in doom, in rif di Stefano ’Bazu’ Basurto, il basso profondo, ctonio di Paolo ’Detrji’ Basurto e la batteria di Pietro D’Ambrosio, adorna di tom e piatti volanti.
TUTTO già definito nel capolavoro di questo disco, in apertura, Queen of Wands in cui la tastiera esorbita nel primo spazio-movimento e poi lascia il posto alla forma canzone, per un finale poi hardcore. Da qui in avanti le forme saranno queste, tra segmenti spaziali, canzoni psichedeliche, alcune in eco di Goat (voce: Crema) e sezioni di rock duro, psichedelico. Si noti Circo galattico, una danza macabra, un chiasso di ghigni, di pagliacci impagliati, sotto un cielo nero.
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