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Tra oriente e occidente sotto l’egida fascista

Tra oriente e occidente sotto l’egida fascistaFosco Maraini, foto scattata durante la spedizione italiana in Tibet condotta da Giuseppe Tucci nel 1937

Novecento italiano Alice Crisanti ha dedicato una documentata biografia al più noto orientalista italiano, Giuseppe Tucci (Edizioni Unicopli): fondatore dell’IsMEO, visse tra lo studio, l’insegnamento accademico e le spedizioni in Asia. Si compromise col regime e l’antisemitismo

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 25 ottobre 2020

Càpita di imbattersi in libri e saggi di grande interesse non tanto, o non soltanto, per come sono scritti e per le notizie che forniscono, ma per gli interrogativi e i problemi che aprono. E magari non chiudono. Sono rari, soprattutto per quanto riguarda le biografie, ma possono essere davvero ricchi e preziosi. Anche quando non forniscono soluzioni possono illustrare e perfino spiegare capitoli di storie sconosciute, e magari malintese: e lasciare aperte questioni per il futuro. Sono esempi di rara serietà e onestà intellettuale.
In questo caso, un piccolo modello, pieno dall’inizio alla fine di domande e anche di questioni aperte, nonché di ricerche e di documenti, è il libro di una giovane studiosa, Alice Crisanti: Giuseppe Tucci Una biografia (Edizioni Unicopli, pp. 501, euro 29,00). Tucci è stato l’orientalista italiano più noto in assoluto di sempre per i suoi studi sui paesi asiatici, in particolare Nepal e India, ma poi anche Cina, Giappone, Afghanistan ecc. La sua attività si è protratta per decenni, fino alla fine degli anni settanta (nato nel 1894, morì nel 1984). E i suoi viaggi sono stati numerosi e lunghi, talvolta durati anni. Chi ama il mondo «arancione» e quello della letteratura e della cultura yoga, ormai fenomeno di massa, sa però anche che, per fare un esempio non modesto, Tucci fece arrivare nel nostro paese, negli anni sessanta, Namkhai Norbu, celebre maestro del buddhismo tibetano, che con l’appoggio dell’intellettuale italiano ha insegnato nelle nostre università ma soprattutto ha fondato ad Arcidosso un importante centro di cultura tibetana. È morto nel 2018 a ottant’anni ed è stato un vero maestro.
Oriente incrociato con l’Occidente: è l’asse, assai problematico, di questo complesso intellettuale. In proposito, i problemi per, e su, Tucci nacquero presto, a Macerata, la sua città. Già da giovanissimo si dedicò a studiare il sanscrito e l’ebraico; ma dopo la maturità prese a occuparsi delle antichità romane nelle Marche, andando a studiare le vecchie iscrizioni delle zone picene, in particolare Elvia Ricina. E già quello era un vero guazzabuglio, dove Tucci univa appunto Oriente e Occidente, in una «koinè culturale» che sarebbe stato il suo «umanesimo euroasiatico»: di cui peraltro non sempre risultano chiarissime le connessioni e il senso. Ma sarà tutto il seguito della sua ricerca, e anche dei suoi rapporti culturali, storici e politici, a essere complicato e talvolta discutibile o addirittura assai discutibile. È ciò che Crisanti documenta e discute a lungo nel suo libro con grande ricchezza di documenti, analisi e contestazioni.
Si consideri, ad esempio, l’identità (e la carriera) accademica, a partire dal primo anno di Lettere alla Sapienza nel 1913 (laurea nel 1919, guerra e fronte compresi): la laurea e i suoi rapporti gli permisero di ottenere quasi subito un ottimo lavoro alla biblioteca della Camera dei Deputati; ma soprattutto, alla fine del 1923, una libera docenza in Lingua e Letteratura dell’Estremo Oriente. Deus ex machina Giovanni Gentile, che in quel momento era ministro e già nel 1920 gli aveva pubblicato un saggio sul primo numero del suo nuovo «Giornale critico della filosofia italiana». E quel fascicolo è impressionante: contiene scritti di Gentile stesso, Croce – allora ancora in discreti rapporti con Gentile –, del ventiseienne Tucci (con un ben strano Sui rapporti tra la filosofia greca e l’orientale), di Giuseppe Saitta, 39 anni, storico della filosofia di grande futuro. Ma Gentile considerava la filosofia orientale una «non riflessione» e Tucci, che intanto all’Università aveva incominciato a studiare in profondità il già noto sanscrito, il buddhismo e la filosofia cinese, si adeguava: e definiva qual era lo scarto e la superiorità della cultura occidentale rispetto a quella orientale.
Intanto incominciavano i suoi viaggi verso l’Oriente, che furono tanti e con lunghi periodi di insegnamento (per allora, dell’italiano) in India. In Italia invece nel 1930 ottenne una cattedra di Cinese all’Istituto Orientale di Napoli, usando la sua solita grande abilità. Era un Oriente coltivato anche, e da sùbito, attraverso i suoi abili e ricchi rapporti con i più importanti studiosi italiani di cultura orientale, soprattutto Carlo Formichi e Giovanni Vacca. E analizzato nelle sue pubblicazioni, che finirono per essere centinaia di articoli e una quarantina di libri, alcuni ancor oggi centrali per la storia del Tibet.
Poi ci fu il fascismo, che Tucci, sempre ipersensibile, valutò subito come una grande possibilità di ascesa per sé e, dal punto di vista ideologico, per la sua complicata idea di cultura orientale (sempre, però, a partire da quella occidentale). A Mussolini nel maggio 1926 fece presentare niente meno che Tagore: il quale però, arrivando in Italia, visitò anche Croce e cambiò rapidamente idea sul fascismo. Altra complicatissima vicenda.
Qualche anno dopo, tra il ’32 e il ’33, attraverso il duce Tucci istituì l’IsMEO, l’Istituto per il Medio e l’Estremo Oriente, di cui divenne vicepresidente, sempre sotto la presidenza di Gentile (anche lui attivo su molti fronti) fino al 1943. Così siamo davanti a un’altra operazione bifronte: un Oriente gestito politicamente e in modo legato al commercio da un Mussolini che si trovava nella fase in cui pensava sempre più a un ruolo imperiale per l’Italia (in questo caso verso l’Asia). Ma se Tucci accettava tranquillamente che l’IsMEO gestisse i rapporti con i paesi asiatici cercando di farli penetrare dal nazionalismo fascista, interveniva poi anche sul piano culturale. Iniziarono allora i suoi più complessi studi e interventi anche documentali sul Tibet e sul Nepal. È un punto su cui presto, già dal 1937, si aprì un durissimo conflitto (ancora tutto da studiare) con i nazisti, in particolare Himmler e la sua organizzazione culturale, l’«Ahnenerbe»: pensavano anche loro a un rapporto forte col Nepal, ritenuto l’origine mitica dell’arianesimo razzista. È ancora un rilevante argomento tutto da studiare (con attenzione anche in relazione a Tucci), su cui sono già comparsi alcuni lavori notevoli: si segnala in particolare un libro documentatissimo di Wolfgang Kaufmann, Das Dritte Reich und Tibet (2009), ancora praticamente sconosciuto in Italia.
E poi ci sono le sue spedizioni in India, in Nepal (ben otto), sull’Himalaya, che avevano numerosi scopi e crearono altri conflitti: anche con chi l’accompagnava. Tucci nei suoi viaggi si fece aiutare da varie persone, ufficiali dell’esercito, viaggiatori professionali, fotografi, specialisti nelle riprese cinematografiche (e tra l’altro due successive mogli). Non sempre i rapporti furono facili. Per esempio sono notevoli le pagine che Crisanti dedica a Fosco Maraini, il padre di Dacia. Allora era un giovanissimo fotografo (e specialista anche di cinematografia), che accompagnò il sempre più famoso studioso nelle complicate spedizioni tibetane del 1937 e del 1948. Tucci però non lo volle riconoscere come allievo, ma solo come «compagno di viaggio». E finirono per rompere i rapporti piuttosto duramente.
Per non parlare dei problemi che si aprono ancora oggi a proposito delle operazioni antisemite a cui Tucci accettò di partecipare, come la presenza nella Commissione sugli ebrei dell’Accademia d’Italia; o a proposito delle «lodi del duce», che contribuirono a rendergli l’ostilità di Maraini e alla fine gli procurarono la richiesta di epurazione e di dispensa dal servizio nel 1945 come professore universitario; e perfino la richiesta di eliminazione della sua cattedra da ordinario. Ma anche in questo caso Tucci seppe essere abilissimo, ottenendo perfino l’appoggio di un irreprensibile antifascista come l’ex primo ministro Francesco Nitti. Una vera cultura doppia, o perfino tripla, ma di grande intelligenza.

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