Cultura

Tra note e parole, un maestro dell’ascolto: Ceschino Montanari

Tra note e parole, un maestro dell’ascolto: Ceschino MontanariFranco Piersanti, L’oceano in una conchiglia (2018)

RITRATTI I suoi scritti raccolti in «Un suono che la memoria potrà conservare». Fino alla fine, la psicoanalisi rimase per lui «una rivoluzione culturale»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 28 settembre 2023

«Un suono che la memoria potrà conversare». La prima volta che ho letto il titolo dell’elegante volume che raccoglie gli scritti di Francesco (ma per tutti «Ceschino») Montanari, l’ho equivocato, producendo uno di quei lapsus che secondo Alberto Savinio contengono più verità della lezione corretta. La formula – in clausola alla bella intervista di Antonio Gnoli, su «la Repubblica» nel 2019 – suona infatti Un suono che la memoria potrà conservare; e così s’intitola il libro (a cura di Roberto Mancini, edizioni All’insegna del Mare, pp. 263, euro 22). La frase allude alla passion predominante che per Montanari era la musica (in ricordo della consorte Resy tutte le estati organizzava un concerto nella sua «tenutella» in Toscana, a Fonteblanda località Bengodi – si chiama proprio così! –; e questo ritrovo dei suoi amici è divenuto con gli anni un vero e proprio rito, orchestrato dal compositore Franco Piersanti e dai musicologi Mario Bortolotto e Jacopo Pellegrini; da quest’anno – con Ceschino che ha lasciato la compagnia, a novantadue anni, all’inizio di gennaio – la cerimonia è in memoria anche sua).

IL LAPSUS È indotto da quel genio della conversazione che era il dedicatario di questi scritti. Così nella premessa lo ricorda Benedetta Craveri, per la quale «il mestiere dello psicoanalista ha certo contribuito a sviluppare un’arte della parola incentrata sull’intuizione delle varie aspettative dei suoi interlocutori». Con la mia specialità di arrivare sempre tardi, a godere le ultime faville di personaggi del suo calibro (lo conobbi da quell’altra fuoriclasse che è Giosetta Fioroni), è la stessa impressione che ne ho tratto io.
Era davvero un ascoltatore superlativo, Ceschino, e non solo di musica. La sua seduttività consisteva nel farti credere che quello che gli dicevi era interessante, importante, forse decisivo; così si creava un’intimità che forse non avevi conosciuto, prima, con nessun altro. Sulla via del ritorno scuotevi la testa e ti stupivi di aver detto davvero quelle cose, a quel signore anziano e sorridente che conoscevi appena. Ma la volta dopo non riuscivi a non proseguire.

Altrettanto essenziale, a quest’arte, la reciprocità. E così Ceschino era anche un formidabile raccontatore. Non tanto di sé stesso (lacerti gustosi della sua biografia sono riportati dal curatore Mancini e da quello, Pellegrini, del «liber amicorum» pubblicato nel 2019 da La Lepre, La musica di Bengodi), quanto dei personaggi che in passato aveva saputo irretire coi sortilegi di cui sopra.
A me ha raccontato dettagli rivelatorî – ora sepolti insieme a lui, hélas – di Alberto Arbasino e Cy Twombly, per esempio; ma riporta Gnoli il suo incontro con Ezra Pound, nel ’62: «sulla fascetta dei Canti c’era scritto che lui, Joyce e Proust erano il Novecento. Gliela lessi. E lui soffiando disse: con Joyce sì, con Proust no» (ci si ricorda di Arbasino, proprio, in America amore; il millenario Ez tace dall’inizio alla fine, ma quando questo suo silenzio viene paragonato a quelli di Beckett il tirannosauro si volta e dice «no»).

QUELLO CHE SI LEGGE è quod superest, dunque, di una vita all’insegna della non-scrittura: esattamente come nella Mitobiografia residuata dai silenzi del suo mentore, il leggendario Ernst Bernhard («un uomo straordinario» al quale si perdonavano volentieri «certe stravaganze o che a me parevano tali»: ritratto simile a quello dell’altro discepolo geniale, Mario Trevi, nella Casa del mago di suo figlio Emanuele). A dispetto della sua ritrosia vinta solo in parte dalle insistenze di Elena Croce, che lo costringeva a scrivere sulla sua rivista «Prospettive Settanta» – per fortuna, ché da quella stentata collaborazione provengono gli scritti più corposi –, Montanari s’è dunque occupato, oltre che di alcuni «casi clinici» risolti con agguerrita strumentazione scientifica, di capitoli-chiave della sua disciplina come L’anti-Edipo di Gilles Deleuze e Félix Guattari, ma anche di artisti e compositori che hanno sondato i suoi territori d’elezione (come nell’excursus sull’Edipo di George Enescu).

Forse però il suo scritto più spericolato e prezioso (firmato con Alessandra Mammì e Ileana Florescu) è quello sulla Vita nova di Dante, letta come «allegoria sul divenire, sulla costruzione della personalità autentica»: sicché – piuttosto che una lettura di Dante alla luce del «divenire» di Nietzsche, dell’«individuazione» di Jung o dell’«entelechia» fatta sua da Bernhard – quella che leggiamo, almeno altrettanto legittima, è una lettura in chiave «dantesca» della psicoanalisi.

LO SCRITTO-CHIAVE è il più lungo: una cronaca quasi minuto per minuto del carteggio tra il «maestro del sospetto» Freud e il suo «luogotenente ufficiale» Jung (almeno sino al traumatico discidium del 1911). È un canovaccio teatrale che si legge con piacere; ma quella che davvero rivela è la concezione che sino alla fine ha conservato, Montanari, della psicoanalisi come «rivoluzione culturale» (il primo testo del volume, del climaterico ’69, è una descrizione della Rivoluzione psichiatrica in atto tutta dalla parte di Basaglia e Goffmann).
Per questo, pur facendo nominalmente parte della discendenza di Jung, nel duello non prende parte né per l’uno né per l’altro: essenziali entrambi a quel cambio di paradigma decisivo che ha rappresentato, per la cultura d’Occidente, l’indagine dell’inconscio. «Mezzo cuore e due cervelli», definiva Ceschino l’amico Bortolotto: per lui bisognerà operare una moltiplicazione almeno per due.

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SCHEDA. Oggi, alla Fondazione Marco Besso di Roma

Alle ore 18, verrà presentato il libro di Francesco Montanari, edito da All’Insegna del Mare, e curato da Roberto Mancini, che sarà presente insieme a Giuliano Ferrara, Massimo Giannoni e Emanuele Trevi. Allievo di Ernst Bernhard, a sua volta discepolo di Jung, Montanari si è speso per una riconsiderazione della malattia mentale, affiancando alla militanza nel campo della psicoanalisi, la passione per le arti umanistiche e il giardinaggio. Diretta streaming www.fondazionemarcobesso.eventi/net

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