C’era una volta una gatta gorgheggiante che si portava la bottiglia di whisky sul palco e se la scolava tra una canzone e l’altra. Aveva una grande curiosità per ogni genere di droga e conseguente instabilità mentale. Statunitense nomade Charlyn Marie Marshall detta Chan, nome d’arte Cat Power (colpita dal nome che le era subito piaciuto, scritto sul cappello di un operaio edile) aveva pubblicato un album capolavoro, Moon Pix, nel 1998 (dopo aver gravitato a lungo in orbita Sonic Youth, Dirty Three e affini) però incapace di reggere alla pressione del tour promozionale, volle fare esibizioni soliste con brani famosi di altri artisti. Da lì la sua insaziabile passione per le cover, generalmente materiale preferito per versioni pop-rock, e le sue battaglie con le case discografiche, in una disordinata sequenza di alti e bassi. Così ha inciso undici cd in carriera compresi tre album di riletture personali di successi (The Covers Record nel 2000, Jukebox nel 2008 e Covers nel 2022) che l’hanno accudita mentre deragliava, l’hanno confortata nei marosi dell’esistenza, l’hanno convinta delle sue straordinarie qualità – una voce incantevole, un’interpretazione devota e misurata, una cruda intensità nelle musiche.

«MI SONO LEGATA a tanti brani per me significativi, ascoltati coi genitori e coi nonni – ha dichiarato – Amare delle canzoni, ritrovarsi a cantarle e condividerle coi propri figli e nipoti è un rituale che fa parte della nostra esperienza di esseri umani e nel mio caso è anche qualcosa che ha nutrito la mia esperienza di cantautrice: mi viene naturale interpretare pezzi scritti da altri, è come mettere in moto uno scambio di conoscenze». Un atto d’amore verso canzoni memorabili, un passaggio di testimone alle giovani generazioni, una versione di Satisfaction dei Rolling Stones senza ritornello, destrutturata e avvincente o la popolarissima e dolce Tonight you belong to me (con Eddie Vedder).Interpretazioni con rispetto e garbo, appiattendo durezze e spigolosità
Ora la nostra amica gattara non abita più là, abbandonati i meandri tortuosi delle sue fragilità, ha rimesso su la frangetta nera, si è ripulita da tutte le dipendenze, ha fatto un figlio e ha trovato l’appoggio della sodale Lana Del Rey. Tanto che, nel novembre 2022 la cantautrice, un tempo talento della scena indie, invitata alla Royal Albert Hall, il sacrario del pop inglese, ha deciso di rifare canzone per canzone un live show passato negli annali della storia del rock: quello di Bob Dylan, tenuto nel 1966 alla Manchester Free Trade Hall modificato per una sbagliata annotazione di bootleg nel «Royal Albert Hall Concert», la performance originale con Bob Dylan col primo tempo in acustico (7 brani) e il secondo in elettrico (8 brani), le stesse scelte di Cat Power (nata sei anni dopo quell’esibizione spettacolare e perciò ha un’ottima collezione di dischi) che si è avvicinata con estremo rispetto e garbo al repertorio dylaniano, appiattendo le durezze, le spigolosità, i picchi in interpretazione morbide, un flusso di coscienza, quasi gioioso.

PROPRIO LEI che ha bazzicato le Desolation Row di mezza America, tra sbandati, tossici e dementi, ne fa una versione diretta e pacata, una litania di 12 minuti e mezzo con le pennellate di plettro alle corde, l’armonica lancinante e la voce attenuata oppure la tensione elettricamente drammatica di Ballad of a thin man, quel Mr.Jones che non sa bene cosa gli stia accadendo, assai vicino alle sferzate potenti della band (Arsun Sorrenti chitarra, Erik Paparozzi basso e Josh Adams batteria) in Leopard-Skin Pill Box Hat oppure la suadente grazia formale di She belongs to me.
E naturalmente lei si comporta teneramente Just like a woman, con le sue nebbie, le sue amfetamine, i suoi demoni. Come una donna, di grazia felina e ironia pazzerella, che ti riscalda col suo canto.