Il mito greco, «non si fonda su alcuna morale, né laica né religiosa». Così scrive Quirino Principe nel programma di sala per questa Elektra di Richard Strauss diretta da Antonio Pappano che ha inaugurato la stagione 2022-2023 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nella storia della famiglia degli Atridi si assiste a una serie di delitti atroci, Atreo che uccide i fratello Tieste e glieli offre come pasto, Agamenone sacrifica la figlia Ifigenia, e per vendicarne l’assassinio sua moglie Clitennestra lo uccide, ma è poi uccisa dal figlio Oreste che così vendica l’assassinio del padre. La vicenda è stata portata sulle scene più volte, a cominciare dai tre tragici greci. Ma arriva fino a noi, da Seneca a Shakespeare, da Racine ad Alfieri, da d’Annunzio a Giradoux, da O’Neill a Sartre.

PROPRIO all’Elektra di Sofocle, la più dura, la più inesorabile delle tragedie che i drammaturghi greci dedicarono all’eroina, si ispira il dramma di Hugo von Hofmannsthal. Ne è anzi una vera e propria riscrittura. Strauss la vide a Berlino nel 1903, messa in sena da Max Reinhardt e volle subito trarne un dramma musicale, chiese ed ottenne di adottare il testo così com’era. L’opera andò in scena a Dresda nel 1909. I tre, Hofmannsthal, Strauss e Reinahrdt avrebbero rifondato nel 1918 il Festival di Salisburgo. A penetrare il senso del dramma ci soccorre un’altra tragedia di Sofocle, l’Aiace. Nel prologo la dea Atena mostra a Odisseo lo stato di follia e frustrazione in cui ha ridotto Aiace. E gli chiede: «Vedi?» Odisseo risponde: «Vedo, e ho paura». Elektra mette in scena questa paura. Sofocle ne fa un’interrogazione sul destino umano. Hofmannsthal un caso d’isteria.
Il moderno non comprende più ciò che gli antichi chiamano l’inconoscibile, il destino, la sventura, il male. Edipo che si chiede: «Perché io?» Sono gli anni in cui Freud, dagli studi sull’isteria sviluppa la teoria dell’inconscio. Dal primo accordo, che impone subito all’ascoltatore l’ossessiva incombenza dell’assassinio di Agamennone, fondato com’è sull’invocazione di Elektra, che udremo poco dopo: «Agamemnon!», ci assale immediatamente il clima teso, espressionistico, di tutta la partitura. Fino al «colpisci un’altra volta» (già presente in Sofocle) urlato da Elektra a Oreste quando ode il grido della madre che viene colpita dal figlio. È un clima di orrore e sofferenza che permea tutta la musica.

Sono gli anni in cui Freud, dagli studi sull’isteria sviluppa la teoria dell’inconscio. Dal primo accordo, che impone subito all’ascoltatore l’ossessiva incombenza dell’assassinio di AgamennonePerfino la tenerezza della sorella per il fratello, nel bellissimo dialogo tra Elettra e Oreste, non è che una variante. per così dire, addolcito, del motivo dell’assassinio di Agamennone. L’interpretazione che ne offre Pappano è furibonda, incandescente. Estenuata, nei momenti di dolcezza, il riconoscimento di Oreste, la seduzione lesbica della sorella (c’è anche questo, non si dimentichi che si tratta di un caso d’isteria). Gli interpreti lo assecondano magnificamente. Aušrinè Stundytè, Elektra, supplisce al non immenso volume della voce, con una capacità straordinaria di modularla, di piegarla a infinite espressioni drammatiche, dalla dolcezza all’urlo. Elisabet Strid, Crisotemide, disegna perfettamente la figura di una ragazza tenerissima cui la tenerezza è negata.

FEROCE e insieme disarmata Clitennestra, Petra Lang; enigmatico e deciso Oreste, Kostas Smoriginas. Ma tutti andrebbero citati per l’adeguatezza con cui interpretano il proprio ruolo. E tutti ricevono un giustissimo successo trionfale da parte dell’affollatissima sala. Dispiace solo che l’esecuzione fosse in forma di concerto. Quest’opera è teatrale come poche altre. La scena è un’esigenza indispensabile.