Visioni

Tra mito e fiaba, Saodat Ismailova e l’arte sul confine

Tra mito e fiaba, Saodat Ismailova e l’arte sul confineuna scena da «Bibi Seshanbe»

Interferenze Incontro con la regista uzbeka, stasera a Filmmaker Festival e fino al 15 gennaio all’HangarBicocca di Milano. La Cenerentola asiatica, un rito e un gruppo di donne in «Bibi Seshanbe»

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 19 novembre 2024

Artista e regista nata in Uzbekistan nel 1981, Saodat Ismailova è una delle protagoniste dell’odierna giornata di Filmmaker Festival a Milano nel programma Interferenze. Questa sera, alle 21.30 alla Cineteca Arlecchino, l’artista dialogherà con il pubblico dopo la proiezione – per la prima volta in Italia – di Bibi Seshanbe: video-installazione realizzata nel 2022 per Dokumenta 15 a Kassel e oggi proiettata per l’occasione sul grande schermo. Un’opera scelta personalmente da Saodat Ismailova, come ci ha raccontato al telefono pochi giorni prima del suo arrivo a Milano. «Ho deciso di proiettare Bibi Seshanbe perché credo possa essere interessante per il pubblico del festival e possa creare un dialogo costruttivo. Ho realizzato soltanto un film di finzione – 40 Days of Silence nel 2014, ndr. – ma quello è stato prodotto in maniera “tradizionale”, seguendo tutte le fasi canoniche, dalla pre-produzione allo sviluppo. Bibi Seshanbe invece è stata davvero una sorpresa perché l’ho girato con pochi mezzi e non mi aspettavo che sarebbe durato 52 minuti. Quando l’ho terminato mi è sembrato una sorta di regalo. Ho pensato perciò che proiettarlo all’interno del festival possa essere un interessante caso di studio, soprattutto per i giovani filmmaker».

un ritratto della regista Saodat Ismailova, foto di Carlos Casas

GIRATO a Tashkent (capitale dell’Uzbekistan e città d’origine di Ismailova), Bibi Seshanbe – che si traduce come «La Signora del martedì» – documenta un preciso rituale femminile di benedizione, ancora diffuso in Uzbekistan e Tagikistan, che include la recitazione di un’antica favola locale, l’equivalente della «nostra» Cenerentola. Il rito si svolge fra un piccolo gruppo di donne e include anche la cottura di cibi tradizionali speciali, l’accensione di candele e la divinazione con la farina. Operando tra i confini di spazi reali e immaginari, Saodat Ismailova intreccia così diversi elementi: la fiaba, il rituale e la storia di una «moderna» Cenerentola attingendo all’identità culturale specifica, e alla Storia, dell’Asia centrale, attraverso conoscenze ancestrali e racconti popolari che hanno come protagoniste le donne. Per l’artista, documentare la realtà intessuta di mito è uno dei temi centrali ma sarebbe ingiusto limitare la sua pratica a ciò che è abitualmente inteso come film documentario. Saodat Ismailova piuttosto sviluppa una forma cinematografica espansa, che aggira i regimi visivi (e istituzionali) predefiniti del documentario e della finzione.

PROTAGONISTA anche di una mostra all’Hangar Bicocca di Milano (fino al 15 gennaio) dal titolo A Sea Under Our Tongue, Saodat Ismailova, nella sua pratica artistica, rende tangibili e visibili le opere che un tempo esistevano solo come «sussurri»; tramandate di generazione in generazione non come conoscenza formalizzata e depositata nei libri ma come patrimonio trasferito manualmente, come i tantissimi primi piani di mani che punteggiano Bibi Seshanbe. Nella mostra (oltre ai film, alle video-installazioni del passato e alcune realizzate appositamente per l’Hangar), l’esplorazione artistica passa anche attraverso il cotone, la seta, crine di cavallo e ricami, materiali che non solo preservano la memoria storica ma generano anche un dialogo tra passato e presente, tra concettuale e materiale. Attingendo anche al patrimonio sociopolitico e culturale della sua terra d’origine per evocare temi universali e rielaborando il passato coloniale, e con esso la questione identitaria, Saodat Ismailova coniuga miti, pratiche animiste ed esplorazione sul campo, filmando con incredibile naturalezza i suoi protagonisti che sembrano quasi non percepire affatto di essere ripresi.

uno scatto della mostra «A Seed Under Our Tongue»

«Credo che sia fondamentale instaurare una connessione con le persone. Il rito che filmo in Bibi Seshanbe è molto privato, non è qualcosa che viene mostrato agli estranei, e per mia fortuna sono entrata in contatto con quelle donne tramite alcuni amici della mia famiglia, dunque persone che già conoscevano me e il mio lavoro. C’è una scena in particolare che amo molto ed è quella del ballo, un momento importante anche nella fiaba di Cenerentola. All’inizio pensavo di inscenare il ballo ma ho subito capito che sarebbe sembrato posticcio. Poi, mentre giravamo altre scene, nelle vicinanze c’era una festa di matrimonio, ho chiesto se potevamo filmare e così è stato». Altri punti cruciali del film quelli in cui compaiono dissolvenze e sovrapposizioni, dove i diversi strati che compongono l’immagine fanno combaciare l’umano e il naturale rendendoli simultanei. Come nei miti, le persone, gli animali e gli elementi della natura diventano i protagonisti della narrazione e spesso si mescolano tra loro. Ma c’è un qualcosa di più: l’esperienza ancestrale del mito, è caratterizzata dalla “partecipazione mistica”, dove i confini della coscienza umana diventano sempre più labili e si confondono, si mescolano e si lasciano attraversare dalle forze sovrannaturali della natura, in un processo di esplosione e dipanamento. Ed è proprio quello che accade, e sembra farsi immagine, in Bibi Seshanbe.

«ERA QUESTO che volevo ottenere – prosegue Saodat – la “nostra” versione di Cenerentola è molto simile a quella Occidentale. L’unica differenza è nella componente animale che, nella versione asiatica, sceglie di diventare vittima sacrificale al fine di garantire la felicità del suo padrone. È un elemento che spesso si trova nelle fiabe e nel folklore dell’Asia Centrale, una cosa molto triste ma al tempo spesso bellissima perché l’essere umano entra così in una sorta di gioco di circolarità. Ci sono due momenti nel film che lo raccontano: la morte della mucca e quella della gallina e per me filmarli era anche un modo per sottolineare le due versioni differenti della fiaba. Credo però che questa versione, con il sacrificio degli animali, sia più attuale ma soprattutto più rilevante all’interno di una riflessione contemporanea circa la disconnessione fra uomo e natura, fra l’umano e l’ambiente che lo circonda». Infine, per gli spettatori di Filmmaker Festival, un regalo speciale da parte di Saodat: «C’è una sorpresa che non ho ancora detto a nessuno. Essendo stata concepita come video-installazione, in Bibi Seshanbe non ci sono crediti e per l’occasione ho aggiunto i titoli di coda e un minuto in più di immagini. Mi piace l’idea di mantenere viva così un’opera, di dare una “nuova” vita a un lavoro realizzato in passato. Penso sia meravigliosa questa libertà di ripensare a un film, qualcosa che solo il cinema può fare. Credo che il cinema sia come un contenitore, che trasporta e ricorda tutto».

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