Tra lessico popolare e colto, un’indagine sulla natura umana di Gesù
Scaffale Vincenzo Pardini, «Vita di Cristo e del suo cane randagio», per Vallecchi
Scaffale Vincenzo Pardini, «Vita di Cristo e del suo cane randagio», per Vallecchi
A un anno dall’uscita del suo ultimo romanzo Il valico dei briganti (recensito sul manifesto), Vincenzo Pardini torna in libreria con un nuovo lavoro, intitolato Vita di Cristo e del suo cane randagio (Vallecchi, pp. 220, euro 18). Se il libro precedente era un vero e proprio western, ambientato tra l’America e la Garfagnana, questo, come si capisce facilmente dal titolo, è una riscrittura della vita di Gesù.
SEMBRA QUASI che il lavoro letterario di Pardini si trovi ad oscillare tra dei ed eroi, andando a confrontarsi, in qualche modo, con quelle che sono le origini della letteratura. Epica, mito, infatti, non sono altro che storie che costruiscono il mondo, parlando alla comunità di esseri divini ed umani – ma al contempo più che umani – che con i loro atti e le loro imprese sono alla base dell’esistenza della stessa comunità che narra, varia ed ascolta le loro storie, riconoscendosi in esse. E i miti cambiano, rimanendo paradossalmente sempre gli stessi: esistono molte e differenti versioni della stessa storia.
LA STESSA COSA, da buon aedo moderno, fa Pardini, introducendo, ad esempio, quasi con nonchalance, fin dal titolo, un personaggio nuovo, un cane, un grande cane bianco, tipo pastore maremmano, di nome Ebaù. E non si tratta di una figura secondaria, il titolo stesso lo innalza a coprotagonista, nel libro si parla della vita di Cristo e della vita del suo cane.
Del resto, da sempre sono tante le storie legate alla figura del Figlio di Dio e tanti i modi di raccontarle. Non si tratta solo della differenza tra vangeli apocrifi e vangeli canonici. Quella che è stata definita La più grande storia mai raccontata, può essere narrata utilizzando tutti i mezzi della spettacolarità hollywoodiana. Come nel film intitolato così, o secondo i canoni dell’opera rock, vedi Jesus Christ Superstar, o ancora secondo la sensibilità di veri artisti come Pier Paolo Pasolini con il suo Il Vangelo secondo Matteo o Martin Scorsese con L’ultima tentazione di Cristo per rimanere in ambito cinematografico, oppure come Fabrizio De Andrè e la sua Buona novella, per quanto riguarda la musica.
E Pardini, questa storia la racconta alla sua maniera, semplice e al contempo complessa, alternando lessico popolare e colto, inserendo riferimenti a ricerche recenti e cercando – e riuscendo – soprattutto a far emergere la natura umana, legata al popolo, conscia della sua missione ma anche insicura del dio-uomo.
IL TUTTO COMUNICANDO al lettore quel sapore un po’ ingenuo se si vuole, ma anche soprattutto estremamente sentito e coinvolgente che doveva caratterizzare le rappresentazioni sacre, incentrate sulle vite di Gesù e dei santi, che venivano inscenate in epoca medievale sui sagrati delle chiese. E anche l’inserimento di una figura mai esistita, o forse semplicemente dimenticata dagli altri che hanno narrato del Figlio dell’Uomo, è estremamente funzionale all’economia dell’opera.
Non solo Ebaù con la sua presenza permette al narratore di ampliare il racconto, ma, grazie al suo istinto animale riesce a condividere con il suo padrone una percezione diversa della realtà che gli permetterà di proteggere lui e la sua famiglia da nemici umani e sovrannaturali, contribuendo così in maniera decisiva al compimento dell’opera del Redentore dell’umanità. Inoltre, più che di un ulteriore apostolo, nei confronti del cane sarebbe più appropriata la definizione di primo apostolo in quanto è stato vicino al suo padrone da sempre, fin dalla nascita nella grotta di Betlemme.
E dopo l’ascensione di Gesù, «solo Ebaù restò vicino alle pietre da cui il suo impareggiabile Amico si era innalzato. Da quel giorno, io so per certo, è divenuto randagio. Qualcuno dice di averlo veduto. Appare e scompare alla stregua di un lupo solitario. Fedele e fiducioso, attende il ritorno di Cristo».
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