Anche se in due decenni l’orchestra e il coro di Santa Cecilia hanno girato mezzo mondo con Antonio Pappano in tour di successo, questa volta è tutto diverso. Per una settimana i complessi dell’Accademia hanno ritrovato il loro direttore emerito e il direttore ospite Jakub Hrusa per dar vita fino al 1 aprile alla prima residenza di un’orchestra italiana al Festival di Pasqua di Salisburgo. Non è l’unico esordio: a detta di tutti non si ricorda una presenza dell’orchestra ceciliana nella buca di un teatro d’opera e anche per il coro e il suo direttore Andrea Secchi lavorare in scena per Gioconda di Ponchielli è stata una prima volta, peraltro la celebre incisione del 1967 con Tebaldi e Bergonzi è ormai lontana. Prima volta anche per il terzetto Netrebko, Kaufmann e Salsi in Gioconda, titolo mai ascoltato prima d’ora a Salisburgo.Anna Netrebko domina la parte della protagonista con dovizia vocale a tratti torrenziale

IL 23 MARZO Pappano ha realizzato ancora una volta la felice simbiosi con coro e orchestra cogliendo sia la grandiosità delle campiture che l’originalità del linguaggio e del gioco di chiaroscuri dell’opera di Ponchielli e Boito. Accurato nei dettagli, delicato negli accompagnament, Pappano esalta gli equilibri tra piani sonori e le invenzioni dell’autore, siano esse di ascendenza verdiana e francese oppure scelte proiettatte verso il futuro, senza mai trasformarle però in prove di verismo ante litteram. Poco fascino scenico e più di un’incongruenza nella regia di Oliver Mears: in una Venezia sansoviniana in cui dilagano trenini di gitanti e bolge turistiche la profemminista Gioconda persegue la vendetta sull’abusatore Barnaba, che uccide a sorpresa nel finale dopo aver accoltellato anche Alvise Badoero. Prologo con strupro infantile e preludio con elettrochoc dovrebbro costruire un’ipotesi di sindrome post-traumatica alla Marnie hitchcockiana che però risulta estranea al carattere viscerale del personaggio di Gioconda. Anna Netrebko domina la parte della protagonista con dovizia vocale a tratti torrenziale, nonostante la pronuncia misteriosa e qualche ispessimento eccessivo nel registro grave. Presenza, finezze e fraseggio da artista di rango non bastano a Jonas Kaufmann per trasformarsi in un Enzo Grimaldo ideale.

NESSUNO dei cantanti poteva competere con l’éclat e la dizione scolpita di Luca Salsi, incarnazione riuscita e minacciosa del Barnaba più torvo, nonostante la lambiccata regia lo volesse in scena ovunque quasi fosse un personaggio di Hoffmann, per farlo poi morire come Scarpia. Brava Agniezska Rehlis, la Cieca. I programmi sinfonici rinforzavano la ventata di italianità declinata nella raffinatezza del concerto diretto da Hruša – che a Salisburgo ha conquistato il pubblico nell’estate 2022 con Kat’a Kabanova – con Gli affreschi di Piero della Francesca di Martinu e Aroldo in Italia di Berlioz, mentre Pappano ha ritrovato il Requiem di Verdi con una serata tutta novecentesca. Il programma accostava l’orchestrazione smagliante di Fontane di Roma e Pini di Roma, brani risaputi dalle nostre parti ma assai meno in Austria, al tratto lirico dell’Elegia di Ponchielli e all’effervescenza straussiana di Juventus di De Sabata. In apertura l’orchestra dipanava brillantemente le filigrane geometriche di Boccherini/Berio con le Quattro versioni della ritirata notturna di Madrid. Unico alito nordico nei liederabend, tra cui un sublime pomeriggio brahmsiano offerto dal baritono Christian Gerhaher e dal pianista Gerold Huber.