A un certo punto dell’autostrada che collega Roma all’Abruzzo, c’è una diramazione: a sinistra si va verso L’Aquila, a destra si va verso Pescara. Chi prende la strada a sinistra, dopo una serie di gallerie, troverà davanti a sé lo spettacolo della grande montagna – il Gran Sasso – che si staglia all’orizzonte in una posa tale che non può non ricordare il Farinata dantesco che aveva «l’inferno a gran dispitto». Potente, superbo, posto dalla natura a custode del mondo circostante. Ma chi si dirige verso destra, troverà la sorpresa, viaggiando verso Pescara, di scoprirsi a metà fra la piana del Fucino, sulla destra, e la maestosa monumentalità del monte Velino, sulla mano mancina, che costituisce il baluardo più esterno del Parco Naturale Regionale Sirente Velino.

DELLE ESPLORAZIONI che nel corso del XIX secolo consentirono la scoperta di questo gioiello naturale che oggi è Parco ci dà conto un giovane ricercatore, originario di Collarmele (Aq), ossia uno di quei borghi autentici del Parco stesso (di questo paese l’autore ha scritto una storia dal XV secolo fino al terrificante terremoto del 1915), cioè Filiberto Ciaglia, in un ricco e documentato volume intitolato Le ascese al Velino e al Sirente nell’Ottocento. Linee di storia dell’esplorazione appenninica (prefazione di Stefano Ardito, edizioni Kirke, pp. 125, euro 14).

Il monte Sirente, più basso del Velino, è collocato fra la cittadina di Celano (patria del primo biografo del Poverello di Assisi) e la valle Peligna, dove si trova Sulmona («Sulmo mihi patria est», scriveva Ovidio). Anche da queste brevi note logistiche corredate da riferimenti non soltanto alpinistici, si capisce che si sta parlando di un territorio in cui cultura e, nel caso di Ovidio, poesia occupano un posto centrale.
Ciaglia, fin dalle prime righe della sua ricerca, fa presente che il lavoro non ha alcuna ambizione di esaustività, pretesa che sfiorerebbe la follia, ma sottolinea da subito il prestigio di uno dei primi esploratori delle due montagne, cioè Leon Battista Alberti, che, nel suo De Re Aedificatoria, descrive la qualità delle rocce appenniniche notando soprattutto la loro dimensione non superiore a quella del palmo di una mano. Poi si succedono nel volume le storie, dal 1818 al 1898, di tanti esploratori, anche stranieri (ad esempio, l’ascesa al Velino del Club alpino Svizzero nel 1893).

LA CAPACITÀ DESCRITTIVA di Ciaglia si manifesta nel suo modo di coniugare in modo piacevole l’aspetto scientifico, proprio della ricerca, con l’aspetto narrativo, proprio del racconto. Ne sortisce un libro che acquista le caratteristiche del romanzo di formazione all’amore per la montagna.

Particolarmente significativa, fra le altre, la descrizione dell’esplorazione del Sirente nell’estate del 1875 da parte della coppia formata da Henry Groves e Adalgisa Cristoffanini. Con una nota di compiaciuta soddisfazione l’esploratore inglese ricorda che la moglie poteva vantarsi di essere stata la prima donna ad aver esplorato la Maiella e il monte Sirente.

DI IMPATTO NOTEVOLE è la descrizione delle prime ascensioni iemali sul Velino e sul Sirente: anno 1881. Si tratta del racconto del pionierismo allo stato puro. Abbate e Martinori, pionieri della scalata invernale delle due vette, ne restarono talmente ammirati che, terminata l’ascesa del Gebel Sannin in Libano, Martinori, scrivendone sul Bollettino del Club alpino italiano nel 1890, ne accostò l’aspetto a quello del monte Velino «quando nella stagione iemale è ricoperto di neve».

UN PARTICOLARE relativo all’autore, che fra le altre cose ricopre la carica di consigliere comunale con delega alla riqualificazione e alla valorizzazione del territorio nel comune nativo, va messo in evidenza al fine di penetrare fino in fondo il senso ultimo della sua ricerca: si tratta di uno scalatore. Insieme al padre, in modo particolare, ha scoperto queste due montagne delle quali a lui si sono rivelati tutti i segreti, gli stessi segreti fatti propri dagli esploratori della seconda metà del XIX secolo. Quindi, come dire, Ciaglia è un teorico dell’esplorazione ma che ha fatto pratica, e continua a farne, di cosa significhi scalare le vette più alte.