Cultura

Tra il Mediterraneo e il Mar Nero

La presa di Costantinopoli da parte dei crociati, in un dipinto di Palma il Giovane (1544-1620)La presa di Costantinopoli da parte dei crociati, in un dipinto di Palma il Giovane (1544-1620)

MEDIOEVO Venezia, Costantinopoli, Trebisonda. Un percorso storico e saggistico per collocarle nella loro relazione. I volumi di Tommaso Braccini, Ermanno Orlando e il testo di sfondo di Peregrine Horden e Nicholas Purcell. Nel 1204 la città lagunare conquista l’attuale Istanbul dando luogo all’episodio che viene definito, sia pure riduttivamente, «quarta crociata». Notevoli i vantaggi derivanti dal controllo esclusivo delle rotte commerciali. Si sperava di poter estromettere i rivali genovesi dai porti del Vicino Oriente

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 2 giugno 2024

Nel 1204, con un colpo di mano avallato dal pontefice Innocenzo III e portato a termine con l’apporto di milites che avevano fatto voto di crociata, i veneziani conquistarono Costantinopoli. È l’episodio che viene spesso definito, molto riduttivamente, «quarta crociata». Subito dopo la conquista, i latini elessero un nuovo «imperatore» secondo gli accordi presi fra le parti: la carica era contesa tra Baldovino di Fiandra e Bonifacio del Monferrato; nonostante il secondo fosse il leader della spedizione, o magari proprio per quello, la scelta cadde sul primo. Il 16 maggio di quell’anno il conte Baldovino IX delle Fiandre venne incoronato ad Agia Sophia imperatore di Costantinopoli, mentre il veneziano Tommaso Morosini divenne patriarca, con lo scopo di latinizzare la Chiesa locale, considerata eretica dopo lo scisma del 1054. Una parte delle élite bizantine, fuggite dal massacro, fondarono governi in esilio. Fra questi tre potentati rivendicavano la corona imperiale, ma fu quello di Nicea a imporsi.

NEL 1206 tolse a Trebisonda i domini a ovest di Sinope, mentre Sinope stessa fu catturata dai turchi selgiuchidi nel 1214; Trebisonda tuttavia riuscì a sopravvivere grazie alla sua rete di alleanze con i capi delle tribù turche dell’Anatolia interna, e dal 1258 con l’avanzata dei mongoli stabilì con essi buoni rapporti fino a divenire un prospero hub occidentale della via della seta. Trebisonda. Il nome Trebisonda è evocativo, sebbene oggi questa città della Turchia nord-orientale, affacciata sul Mar Nero, ci sembri fuori mano. È invece ancora un centro importante, vicino al Caucaso e corridoio per i rapporti fra Turchia e Russia. Tornando al Medioevo, va ricordato che l’Impero di Trebisonda si era formato già poco prima della presa di Costantinopoli del 1204, in seguito alla spedizione di un esponente dell’antica famiglia imperiale dei Comneni, Alessio.

Dal punto di vista geografico, l’Impero consisteva in poco più di una stretta striscia lungo la costa meridionale del Mar Nero, e non molto più all’interno delle montagne del Ponto. Tuttavia, la città traeva grande ricchezza dalle tasse che riscuoteva sulle merci scambiate tra la Persia e l’Europa attraverso il Mar Nero.

L’assedio mongolo di Baghdad nel 1258 dirottò un maggior numero di carovane commerciali verso la città. I mercanti genovesi e, in misura minore, veneziani giungevano regolarmente a Trebisonda. La città sopravvisse alla conquista ottomana qualche anno più di Costantinopoli, cedendo agli avversari soltanto nel 1461; in quegli anni, alcuni degli intellettuali provenienti dalla città, come Bessarione e Giorgio di Trebisonda, dettero un grande apporto alla filosofia del Rinascimento italiano.

IL GRANDE BIZANTINISTA russo Sergey Karpov già negli anni Ottanta aveva pubblicato un bel libro intitolato L’impero di Trebisonda, Venezia, Genova e Roma. 1204-1461, al quale oggi si può aggiungere il lavoro di Tommaso Braccini, Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda (Salerno Editrice, pp. 192, euro 18): dove il primo lavorava soprattutto sui rapporti commerciali e istituzionali, il secondo si interessa, come suggerito già dal titolo, del mito, organizzando il racconto in brevi paragrafi che spaziano cronologicamente fra le vicende storiche effettive e l’immaginario che la memoria ha costruito intorno a questa città portuale così remota eppure così centrale. Per Venezia, la presa di Costantinopoli nel 1204 aveva evidenziato i notevoli vantaggi derivanti dal controllo esclusivo delle rotte commerciali. Probabilmente si sperava di poter estromettere con quella mossa i rivali genovesi dai porti del Vicino Oriente, assicurandosi così il monopolio commerciale non solo con la Romània, ma anche con le rotte interne degli Stati latini. Tuttavia, nel 1261 la coalizione formata tra Genova e Michele VIII Paleologo, l’imperatore di Nicea, pose fine al sogno veneziano, riportando i genovesi al centro della scena, e ridisegnando ancora una volta il panorama politico del Mediterraneo orientale.

Questo naturalmente non significò neppure l’estromissione dei veneziani, quanto piuttosto la fine di un breve monopolio e l’inizio di un multilateralismo. Come ricorda Braccini, Marco Polo visitò Trebisonda sulla via del ritorno dalla Cina a Venezia, sebbene a essa dedichi soltanto un cenno sfuggente. In questo 2024 nel quale ricorrono i 700 anni dalla morte del viaggiatore veneziano, fervono le iniziative editoriali – e non solo. Fra queste un libro di Ermanno Orlando, Le Venezie di Marco Polo. Storia di un mercante e della sua città (il Mulino, pp. 342, euro 20), esplora in parallelo le vicende biografiche (delle quali peraltro non troppo è dato sapere) di Marco e quelle della sua città, proprio partendo dal fatidico 1204. Un capitolo è dedicato a Trebisonda, «l’ultima retroguardia greca», come la definisce l’autore. L’originalità del lavoro sta nel fatto che, mentre generalmente è l’Asia profonda ad attrarre l’attenzione degli storici del Milione e del suo autore, qui si trattano soprattutto i luoghi sui quali si proietta la sfera di interessi veneziani, e dunque Mediterraneo orientale e Mar Nero.

ALLA STESSA IMPRESA dei Polo l’autore guarda attraverso gli occhi di Venezia, notando come l’impresa del viaggio non portò alla famiglia particolari onori, poiché si trattava di mercanti come tanti, e la dimensione pubblica nella Serenissima aveva la meglio su quella privata: morto un Marco (Polo), si legge, se ne fa un altro. Certo, si potrebbe riflettere sulla miopia di tali scelte, ma tant’è, giudicare il passato è esercizio inutile. Venezia, Costantinopoli, Trebisonda: le vicende di queste città e dei libri che ne parlano sono storie del Mediterraneo (con la sua estensione fino al Mar Nero), tema storiografico oggi tornato in auge. Probabilmente per questo l’editore Carocci sceglie di accollarsi la traduzione di un poderoso volume uscito in inglese nel 2000: Peregrine Horden, Nicholas Purcell, Il mare che corrompe. Per una storia del Mediterraneo dall’età del ferro all’età moderna (Carocci, pp. 608, euro 54); l’edizione italiana esce a cura di Federico Santangelo ed è corredata di una nuova prefazione. Il volume è stato discusso dalla storiografia, e dunque già letto dagli addetti ai lavori, ma la sfida dell’editore è proporlo anche a un pubblico più ampio che potrebbe apprezzarne il piglio fuori dagli schemi.

SCOPO di Horden e Purcell è rileggere il Mediterraneo braudeliano della lunga durata, che qui in realtà diventa lunghissima, millenaria, inserendovi riflessioni sul rapporto uomo-ambiente e su alcuni concetti antropologici (l’onore e la vendetta ne sarebbero valori dominanti), ma anche proponendo l’idea di un ambiente frammentato in nicchie ecologiche, delle quali se ne scelgono alcune come casi di studio. Di conseguenza, l’intersezione fra dimensioni micro e macro della storia è un’altra chiave di lettura del libro. In ogni caso, anche a distanza di 24 anni dalla prima edizione, Il mare che corrompe resta una lettura stimolante con la quale fare i conti.

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