Che la Nato sia il braccio armato dell’economia mercantilista statunitense nei confronti dell’Europa, è un’evidenza oscura solo a chi non vuole vedere la realtà geopolitica di questi ultimi mesi, a partire dalla crisi ucraina con le conseguenti sanzioni alla Russia e successive controsanzioni. Tutto lo scenario politico militare tende ad allontanare ulteriormente la Ue dalla Russia, e dunque a favorire un oggettivo avvicinamento delle economie europee a quella statunitense, al momento la più forte ma anche la più bisognosa di assicurarsi mercati stabili per esportare il suo surplus energetico e manufatturiero.

Dietro le quinte si muovono i negoziati che dovrebbero portare alla firma del cosiddetto Ttip, il Partenariato Trans-Atlantico per il commercio e gli investimenti, un accordo-quadro attualmente in corso di discussione tra l’Unione europea e gli Stati uniti con l’obiettivo di «rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati uniti. Oltre a ridurre le tariffe in tutti i settori, l’Unione europea e gli Stati uniti vogliono affrontare il problema delle barriere doganali, così come le differenze nei regolamenti tecnici, le norme e le procedure di omologazione». Questa è la definizione del Ttip fornita dal sito della Commissione europea (http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm).

È questo il quadro in cui vanno inserite le sanzioni europee contro Mosca, che non avranno dunque solo conseguenze sia per l’economia russa sia per quella dei Paesi europei, ma daranno una spallata forse definitiva alla possibilità di costruire una Ue democratica ed a partecipazione cittadina. Certamente una bella mano al negoziato dei trattati, specie se si comprende la natura asimmetrica tra lo status politico ed economico degli Usa, e quello dell’Unione europea. Nello specifico dell’Italia, sempre pronta ad obbedire ai diktat dell’alleato forte, secondo una recente analisi della Sace, l`export italiano sarà negativamente colpito dalle nuove sanzioni contro la Russia, con una possibile riduzione nel biennio 2014-2015 compreso tra 0,9 e 2,4 miliardi di euro a seconda dell`evoluzione dello scenario. Il settore più esposto all`impatto delle sanzioni è la meccanica strumentale che potrebbe registrare una perdita di esportazioni tra 0,5 e 1,0 miliardi di euro nel biennio 2014-2015, cosa che in questo momento di crescita sottozero non possiamo certo permetterci.

In generale, i Paesi dell`Unione europea, registreranno effetti negativi legati alle sanzioni ed alle controsanzioni russe, dato che Mosca è un mercato strategico per l`Europa sia dal punto di vista energetico con la copertura del 32% del fabbisogno energetico europeo, sia commerciale con oltre il 7% delle esportazioni europee. Bisogna ricordare l’opacità totale dentro la quale questo accordo viene negoziato, senza cioè che né l’opinione pubblica europea né quella politica vengano sufficientemente informate dei contenuti e soprattutto delle possibili implicazioni in ambito di sovranità nazionale e comunitaria.
Gli accordi di libero scambio, invece, sono scelte eminentemente politiche, tanto quanto quelle protezionistiche: il libero mercato è una creazione della politica, come spiegava Polanyi, vedi le deregulation di Regan e Bush che hanno dato la stura al turbocapitalismo finanziario, o addirittura culturali, come sosteneva Weber quando analizzava le relazioni tra capitalismo e protestantesimo, o di classe, come dimostrano le analisi di Marx sulla natura degli scambi commerciali all’epoca del capitalismo nascente. E dunque il problema cardine del Ttip non è solo quello di quali regole ci si danno per liberalizzare il commercio, ma di quali istituzioni democratiche, e dunque in qualche modo incardinate nelle scelte politiche che possono determinare i cittadini attraverso le loro decisioni politiche, sovraintenderanno alla regolamentazione del Trattato.

Nello specifico del Ttip, non solo l’assenza di controllo democratico è palese, ma assistiamo ad una asimmetria tra Usa e Ue veramente sconcertante, che rende ragione delle denunce di quanti ritengono, almeno sino ad oggi, che il risultato finale sarà l’asservimento non solo dell’economia ma dell’intera sfera pubblica europea, agli interessi superiori degli Usa. Analizzato dal lato delle ripercussioni sull’Europa, infatti, il piano politico della questione è di merito prima che di metodo. Uno dei punti chiave del TtipT, a ben vedere, è l’istituzione di un sistema di arbitraggio tramite la «clausola Isds» (Investorto-state dispute settlement mechanism ). Arbitraggio cui gli operatori economici privati possano rivolgersi per far valere le proprie ragioni particolari.

Il punto è che questo meccanismo, per molti versi simile a quello già operate all’interno del Wto, e per ora bloccato dall’impossibilità di procedere con il Development round, viene agito potenzialmente anche contro istituzioni democraticamente elette, cioè contro leggi di Stati sovrani. L’arbitro, in sintesi, non potrebbe abrogare o bloccare leggi nazionali quando sfavorevoli alle imprese, vedi le compatibilità ambientali, il costo del lavoro etc., ma potrebbe imporrebbe in ogni caso il pagamento di indennizzi, come per esempio nel caso di nazionalizzazioni.

La posta in gioco è chiara: il trasferimento de facto di forme di potere da istituzioni democratiche ad istituzioni tecnocratiche che non rispondono ai cittadini. Ma c’è di più: mentre gli Usa sono una nazione con regole condivise e legittimate, sempre meno ma ancora formalmente, dalla politica, dunque in grado di fare sistema e di difendersi molto meglio, l’approvazione sic et simpliciter di questo trattato da parte di questa Ue approfondirebbe irreversibilmente una delle cause della crisi di un’Europa percepita come tecnocratica e distante dal corpo democratico della società. Sarebbe ora che la politica, anche di casa notra, volgesse lo sguardo verso ciò che conta.