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Tra est e ovest la ferita è ancora aperta

Germania/Europa Nell’agosto del 1961 ero a Berlino est quando fui sorpreso dalla costruzione del muro fra le due parti nell’ex capitale del Reich; il 9 novembre del 1989 ero in un […]

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 9 novembre 2019

Nell’agosto del 1961 ero a Berlino est quando fui sorpreso dalla costruzione del muro fra le due parti nell’ex capitale del Reich; il 9 novembre del 1989 ero in un estremo lembo della Baviera, a Passau, dove il Danubio si getta in Austria.

Tra queste due date si snoda la storia della nostra generazione che non è stata solo testimone, ma che ha vissuto gli anni della Guerra Fredda tra omologazioni ideologiche e minacce di morte atomica. Il 9 novembre del 1989, aprendo la breccia del muro di Berlino, ha segnato uno spartiacque per il mondo intero, ma soprattutto per le due Germanie.

A trent’anni da quella breccia più di una riflessione si impone. A osservare il gran chiasso propagandistico che sta accompagnando l’avvicinarsi di questa data, si dovrebbe concludere che la caduta del muro ha rappresentato una sorta di liberazione da tutti i mali che affliggevano l’Europa e il mondo all’interno del muro. In realtà le cose non stanno così, la sostanza delle cose è molto più complicata e complessa di ogni semplificazione. Non intendo riferirmi alla complessità dei problemi che ne sono scaturiti a livello mondiale, ma limitarmi anche soltanto alla situazione territoriale e sociale più immediatamnete investita da quell’evento, ossia alla condizione della Germania, per cui parlare della caduta del muro significa anche e soprattutto parlare della riunificazione della Germania.

L’esistenza delle due Germanie, la Repubblica Federale a ovest e la Repubblica Democratica all’est è stata la proiezione della Guerra Fredda sul corpo vivo dell’Europa, l’anomalia che ha accompagnato il divenire dell’Europa sino al 1989. Non era solo la contrapposizione di due Stati sul corpo di una stessa nazione, ma la contrapposizione di due modelli, di due sistemi politici, economici, sociali. Il modo in cui è avvenuta l’unificazione ha significato la fagocitazione dell’est da parte dell’ovest, con conseguenze di cui permangono tuttora rilevanti tracce. Molti anni fa avevo valutato che una vera unificazione nella società tedesca avrebbe comportato 25/30 anni contro le ottimistiche previsioni dei protagonisti dell’operazione ideata e realizzata da Kohl. Oggi dobbiamo constatare che trent’anni non sono stati sufficienti.

Le elezioni regionali nei territori dell’est sono sempre state il termometro del livello di coesione sociale nella società tedesca. Le recenti elezioni in Turingia ne sono state una ulteriore conferma. Il successo della Linke non è tanto un successo della sinistra, quanto l’indice di un persistente disagio sociale che per altri versi si rivela anche con i vistosi e ripetuti episodi di razzismo e di antisemitismo che non a caso si manifestano in quell’area, sino ai casi estremi di reviviscenze neonaziste.

L’offesa alla sinagoga di Halle o i ripetuti casi di xenofobia nascondono un risentimento sociale che sottolinea lo stato di subalternità sociale prima ancora che politica che la popolazione dell’ex Ddr avverte nei confronti dell’opulento ovest, che ne ha saccheggiato le energie migliori e ha fatto terra bruciata di tutti i valori con i quali era vissuta la popolazione dell’est che tra tutti i fattori negativi che ne avevano caratterizzato l’esistenza, aveva tuttavia coltivato un’idea di comunità e di solidarietà sociale che la trovava del tutto impreparata ad affrontare l’impatto con la mentalità e la pratica individualistica della società «liberale» dell’ovest.

Una buona parte dei tedeschi dell’est si sentono tuttora marginalizzati rispetto al benessere e ai valori sociali che costituiscono il patrimonio politico e ideale della Repubblica federale di cui sono entrati a fare parte. Da questo punto di vista l’eredità del 1989 è ancora una ferita aperta la cui cicatrizzazione richiede molto più tempo di quello che era stato preventivato. Neppure una grande nazione come la Germania si può permettere di vivere e progredire senza affrontare una lacerazione sociale che, sebbene non sia fortemente visibile, esiste ed è sensibilmente operante. Ecco perché di fronte al modo di vedere il 1989 tutto in positivo, è necessario porre l’accento su luci e ombre di quell’anno e di quel giorno, che dato il peso specifico che la Germania ha nel contesto europeo, non è un problema che riguardi solo la Repubblica Federale in senso stretto, ma l’Europa nel suo insieme.

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