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Tra eccedenza e caduta, l’estetica sovvertita da Silvia Vizzardelli e Valentina De Filippis

Tra eccedenza e caduta, l’estetica sovvertita da Silvia Vizzardelli e Valentina De Filippis

Filosofia «La tentazione dello spazio» e la sua relazione con la psicoanalisi dell'inorganico

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 12 febbraio 2017

Negli ultimi anni l’esperienza estetica si è trovata di nuovo al cuore della ricerca filosofica e ha riconquistato centralità anche nella teoria psicoanalitica. Tuttavia, quella in questione non è l’esperienza estetica come manifestazione della soggettività e dell’intimità più profonda di chi produce un’opera d’arte o di chi la osserva. È invece un’esperienza estetica che si sgancia dal laccio forzato con il paradigma artistico per riferirsi a una più ampia prassi dell’incontro con la materialità della vita, con il suo osso inerziale, strabordante, ripetitivo. Allo stesso tempo, è un’esperienza che continua ad avere nell’arte il come di questo incontro.

Il testo di Valentina De Filippis e Silvia Vizzardelli, La tentazione dello spazio Estetica e psicoanalisi dell’inorganico (Orthotes, pp. 171, euro 18,00) interroga questa «nuova estetica», ne discute alcuni presupposti, per poi affermare con convinzione le ragioni di una necessaria sovversione.

L’incontro con la materialità della vita, infatti, non si compie – secondo le autrici – come vorrebbe la variante immanentista – attraverso la scomparsa del soggetto e della soggettività. L’esperienza estetica non è la fine di ogni forma di soggettività e l’affermazione della processualità della vita, del fondo impersonale del suo farsi, della spontaneità assoluta del suo non far altro che ripetersi, che accadere.

L’incontro con la materialità della vita in cui consiste l’esperienza estetica si compie – scrivono De Filippis e Vizzardelli – attraverso una ritirata e una caduta del soggetto, di un soggetto portato fuori dai propri limiti e dai propri vincoli e che in questo eccedersi finisce per lasciarsi cadere. Nella caduta, in questa precipitazione di sé, il soggetto non scompare ma si deposita come resto e così facendo entra in combutta con la materialità inerte della vita. In questa caduta del soggetto in quel che di sé lo eccede, risiede l’esperienza estetica.

Questa estetica della caduta trova un partner decisivo in Sigmund Freud: il teorico non della sublimazione ma della pulsione di morte: non come spinta distruttiva e mortifera ma come «volontà originaria di fermare il flusso della vita nella pura materia organica», dunque come esigenza di deposizione, di arresto, di collasso. Proprio questo si ritrova al fondo di ogni esperienza estetica, e il suo merito è farcelo incontrare.

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Anche attraverso la lettura della pulsione di morte le autrici arrivano ad affermare che «per collassare occorre essere eccedenti» e che dunque solo ed esclusivamente in questo nodo tra eccedenza e caduta, tra slancio e arresto, sta e si coglie propriamente l’esperienza estetica.

Proprio questo nodo viene perso di vista, secondo le autrici, dalla posizione immanentista, che ha in Deleuze il suo riferimento principale, e sulla differenza con questa posizione si gioca l’intera posta del libro.

E’ una soglia per la quale l’insegnamento di Jacques Lacan funge da cerniera. In base a come lo si utilizza ci si ritroverà da una parte o dall’altra della differenza, ossia ci si ritroverà ad affermare con convinzione la variazione immanentista dell’estetica o la sua necessaria sovversione.

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