Tra Di Maio e Salvini è rissa nel vicolo cieco
Verso nuove consultazioni Il leader 5 Stelle attacca il leghista: «Dice no alle elezioni per problemi di soldi». Se le altre strade saranno chiuse, Mattarella valuterà la carta di un governo «di tregua». Che però al momento non dispone di una maggioranza
Verso nuove consultazioni Il leader 5 Stelle attacca il leghista: «Dice no alle elezioni per problemi di soldi». Se le altre strade saranno chiuse, Mattarella valuterà la carta di un governo «di tregua». Che però al momento non dispone di una maggioranza
Il conto alla rovescia è cominciato. Per Sergio Mattarella il momento di prendere una decisione si avvicina e la crisi scivola, forse irreversibilmente, verso nuove elezioni in autunno: ipotesi che Mattarella ritiene dannosa e pericolosissima. Tra domani e i primi giorni della settimana il presidente terrà quasi certamente nuove consultazioni.
PER ORA, UFFICIALMENTE, il presidente aspetta l’esito della direzione del Pd, perché il Colle non si può muovere sulla scorta di un’intervista televisiva. Formalmente è ineccepibile. Nella sostanza è un prendere tempo. Dalla direzione di oggi Mattarella non si aspetta nessun segnale nuovo: sa benissimo che l’ordine del giorno di quell’assemblea non riguarda più il governo ma solo la guerra civile all’interno del Pd. Qualche novità arriva invece sul fronte dei rapporti tra Lega e M5S: sono degenerati ieri nella rissa aperta. Non che il Quirinale si aspettasse qualche cambiamento in positivo, ma il digrignar di denti tra Matteo Salvini, che per la verità cerca di non farsi coinvolgere più di tanto, e un Luigi Di Maio palesemente disperato rende ancora più difficile la missione consistente nel traghettare il Paese oltre capodanno, e soprattutto oltre la legge di bilancio, senza tornare alle urne.
AD APRIRE IL FUOCO, ieri, è stato il leader dei 5S, in risposta all’ennesima richiesta leghista di governare con Berlusconi socio a pieno titolo e palazzo Chigi occupato da un leghista. Stavolta Luigi Di Maio, la cui partita personale minaccia di trasformarsi in disastro, esplode. Rispolvera un post Fb del 2012 in cui Salvini stesso escludeva future alleanze con Berlusconi e commenta: «Ha cambiato idea e si è piegato a Berlusconi solo per le poltrone». Poi rincara sul blog a 5 stelle, tanto da dare però l’idea dello sbando più che della severità: «Altri si oppongono al voto perché, tra prestiti e fideiussioni, magari hanno qualche problemino con i soldi». Salvini replica facendo il superiore, «non rispondo a insulti e sciocchezze», e aggiunge: «E’ da irresponsabili bloccare i lavori delle commissioni». Più che di bloccare si tratterebbe di far partire le commissioni parlamentari, avviando di fatto la legislatura. Pd e Fi lo chiedono a gran voce, ma questo non stupisce essendo entrambi i partiti interessati a evitare la riapertura delle urne. Si associa però anche la Lega, a cui certo non sfugge che istituire le commissioni anche in assenza di una maggioranza significa radicare la legislatura e rendere più difficile il ritorno alle urne.
DI FATTO PERÒ, in questo quadro, la richiesta avanzata da Salvini di un pre-incarico per ripercorrere il sentiero già battuto invano dalla presidente del Senato Casellati, alla ricerca di un’intesa con M5S, sembra una barzelletta. Più o meno come tale viene presa al Quirinale. La proposta alternativa della Lega, quella di modificare la legge elettorale in pochi giorni aggiungendo un premio di maggioranza per chi prende un voto in più, è del tutto irrealistica. Nella forma proposta da Salvini, quella legge è già stata bocciata dalla Corte costituzionale ma anche solo inserire un premio di maggioranza limitato comporterebbe modifiche rilevanti. Faccenda di mesi, non di giorni.
NESSUNA DI QUESTE VIE può dunque essere presa in considerazione dal Colle, e anche l’idea berlusconiana di un incarico che porterebbe un governo prima a giurare e poi a cercare voti uno per uno sul mercato parlamentare è esclusa. Perché in caso di esito negativo quel governo resterebbe comunque in carica e gestirebbe le elezioni, il che potrebbe assicurare un vantaggio indebito. Ma soprattutto perché verrebbe meno la rete di protezione estrema voluta da Mattarella: l’esistenza di un governo formalmente mai stato sfiduciato e le cui dimissioni non sono mai state ufficialmente accolte. Un governo, quindi, che in casi estremi potrebbe comunque varare una legge di bilancio ridotta alla semplice sterilizzazione dell’Iva in deficit, dunque senza dover fronteggiare le clausole di salvaguardia assumendo decisioni dolorose: tagli o tasse.
Di fatto la sola possibilità residua di provare a formare una maggioranza politica dipende dall’emergere di novità reali nel corso dell’eventuale prossimo giro di consultazioni. Dovrebbe cioè palesarsi la disponibilità aperta e ufficiale di numerosi parlamentari, magari in dissenso dai gruppi ufficiali, a votare la fiducia a un governo o comunque a permetterne la nascita. E’ un’eventualità quasi impossibile.
CHIUSE TUTTE LE STRADE, Mattarella dovrà valutare la carta di un governo istituzionale, «di tregua», che al momento non dispone di alcuna maggioranza. Se venisse bocciato dall’aula, le elezioni in autunno sarebbero inevitabili.
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