Negli anni ’70 del secolo scorso in Italia era forte e diffusa la percezione che qualcosa, la nostra stessa «cultura nazionale», stesse cambiando: l’avvento sempre più capillare della tv, l’emigrazione e l’abbandono delle campagne – ultimi presidi che conservavano i ritmi lenti delle «culture popolari», ancora orientate ai lavori agricoli e alle stagioni – sembravano condurre gli italiani verso un mondo diverso, più «moderno», migliore. O almeno così sembrava. Così intellettuali, insegnanti, accademici e tutti coloro che a vario titolo si trovavano a mediare tra luoghi, culture e generazioni, reagirono a questi mutamenti tentando di «salvare il salvabile», documentando e...