Bel disco d’esordio in veste solista per Antonia D’Amore, artista poliedrica con interessi in vari campi artistici, capace in questo lavoro di mescolare con sapienza dolci, antiche ruggini del folklore meridionale con una vena cantautorale lirica e feconda. Accompagnata prevalentemente da chitarra e percussioni, ci conduce per mano in un viaggio in sette tappe che si apre con la vertigine ancestrale di Vambire. Il suono di legno e miele del dialetto pugliese e della voce suadente della cantante seminano mistero assieme al battito del tamburo per poi aprirsi in una estatica aria popolare. In Espirando, con la tromba di Giorgio Distante e il violoncello di Elena Bianchetti, si passa all’italiano e il mood muta in qualcosa che potrebbe far pensare alla prima Carmen Consoli. La personalità dell’autrice è però già decisamente olida e matura («La distanza è necessaria») e non c’è alcuna ombra di calligrafia in queste pagine, dove segnaliamo la ninna nanna di Resistenza e il movimento largo, arioso della conclusiva Roma.