Tra 5 Stelle e dem si apre un confronto sull’orlo del precipizio
Consultazioni «È finita». Di Maio concede la rottura con Salvini, ma affossa il governo del presidente: «Se fallisce questo percorso si va al voto». E per evitare di essere rosolato prova a mettere Renzi con le spalle al muro
Consultazioni «È finita». Di Maio concede la rottura con Salvini, ma affossa il governo del presidente: «Se fallisce questo percorso si va al voto». E per evitare di essere rosolato prova a mettere Renzi con le spalle al muro
Il Pd chiede, Di Maio concede. Però infila nel paniere una mela avvelenata destinata a incidere sul prosieguo di questa trattativa sul ciglio del baratro. Uscendo dal colloquio con l’esploratore Roberto Fico, il Pd (versione Martina) si era mostrato ancor più dialogante del previsto. Lontani anni luce i tempi del cipiglio, confinati nell’espressione torva e contrariata di Matteo Orfini, più eloquente di cento tweet. Come viatico Maurizio Martina vuole che il capo M5S abiuri pubblicamente, seppellisca in diretta ogni ipotesi di accordo col Carroccio. Quando a sua volta esce dal colloquio con il presidente della Camera, Luigi Di Maio volentieri ottempera: «Qualsiasi discorso con la Lega finisce qui». Si infila nel varco aperto dal reggente del Pd: «Ho apprezzato le parole di Martina, nella direzione di un’apertura». Si allarga sino a non mettere sul tavolo, per la prima volta, la sua premiership come condizione. Nel blog, anzi indicherà il suo ruolo come quello di un «garante».
SIN QUI LE ROSE. Poi arriva la spina: «Se fallisce questo percorso, per noi si deve tornare al voto. Non sosterremo nessun altro governo tecnico, del presidente, di garanzia o di scopo». Non sono parole pronunciate a caso. Il leader M5S sa che il vero regista delle mosse del Pd, Matteo Renzi, mira a chiudere questo giro esplorativo con qualche passetto avanti ma senza chiudere accordi. La reazione quasi insurrezionale della sua guardia d’onore all’apertura di Martina lo dimostra chiaramente. Per dare il via libera al sostegno del Pd, Renzi vuole aspettare che Mattarella giochi la sua carta, proponendo un governo del presidente.
Quel governo sarebbe probabilmente sorretto dalla stessa maggioranza, dal momento che Salvini se ne chiamerebbe fuori tirandosi quasi certamente dietro anche Berlusconi, ma non sarebbe comunque un governo M5S. Al contrario, verrebbe certificata la non-vittoria di Di Maio. Il solo modo per evitare di essere cucinato a fuoco lento dal cuoco di Rignano è quindi metterlo subito con le spalle al muro: la disponibilità dei 5S a cercare un’intesa politica c’è tutta, ma deve essere chiaro che questo è il giro finale, l’ultima occasione.
L’EVENTUALITÀ DEL VOTO non preoccupa Matteo Salvini. Il leader del Carroccio è convinto che nuove elezioni rafforzerebbero la sua posizione sia nel Paese che all’interno del centrodestra. Rilancia facendo sapere all’ex promesso sposo, che «amoreggia con Renzi pur di andare al potere», di essere sempre a disposizione in caso di ripensamento, però, sempre e solo «come leader del centrodestra». Il ritorno al voto è ben più temuto dall’alleato di Arcore, che si preoccupa infatti di stemperare le sparate del capo del Carroccio del giorno precedente, che avevano destato profonda irritazione sul Colle. Berlusconi conferma di avere piena fiducia in Mattarella, la sua capogruppo alla Camera Gelmini derubrica l’infelice battuta minacciosa di Salvini, quella della «passeggiata a Roma», a una «frase da comizio». Se il tavolo M5S-Pd finirà gambe all’aria, il centrodestra chiederà di ripartire con l’incarico a Salvini ma nel complesso, dietro l’indignazione d’ordinanza, l’idea di un governo necessariamente fragile e che lascerebbe alla destra il monopolio dell’opposizione non sembra dispiacere troppo né al Carroccio né al partito azzurro..
FORSE IL PIÙ PREOCCUPATO per il no preventivo di Di Maio a un governo del presidente è il presidente medesimo. Uno spiraglio si è aperto ma di qui a scommettere che si trasformerà in autostrada ce ne passa, e Mattarella resta fermamente ostile al voto in ottobre. Ma se il dialogo apertosi ieri tra i 5S e il Pd non andrà a buon fine, anche solo nelle forme di un governo M5S sostenuto dall’appoggio esterno del Pd, la sfida del capo dello Stato diventerà difficilissima. Per ora, quasi certamente, affiderà a Fico un supplemento d’esplorazione, nel corso del quale la sostituzione della candidatura Di Maio con quella dello stesso Fico dovrebbe emergere spontaneamente, anche perché così si libererebbe la presidenza della camera per il Pd. Se fallirà, Mattarella proverà ugualmente a giocare la sua carta: per un governicchio di durata e missione limitate e senza alcuna certezza di raggiungere anche quell’obiettivo minimo.
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