«Tovaglia a quadri», invito a cena nel nome di Basaglia
A Teatro Ad Anghiari lo spettacolo annuale scritto e messo in scena da Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini. Storie su cui ridere e ragionare, tra un bicchiere di rosso e una forchettata di bringoli al sugo finto
A Teatro Ad Anghiari lo spettacolo annuale scritto e messo in scena da Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini. Storie su cui ridere e ragionare, tra un bicchiere di rosso e una forchettata di bringoli al sugo finto
Puntuale torna nel periodo a cavallo del ferragosto Tovaglia a quadri, uno spettacolo all’anno scritto e messo in scena da Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini, «servito» al pubblico durante una cena tipicamente toscana di alta qualità, le cui scene si alternano e intrecciano con le portate. Anche se, va detto subito, il fatto teatrale non è mai per niente «digestivo» (come ormai avviene invece nella maggior parte delle nostre platee). Qui c’è la facilitazione del sorriso e dello humor più «toscanaccio» grazie alle storie narrate, ma il peso specifico del racconto mantiene una sua importanza sostanziale, quasi dirimente.
Tanto più quest’anno, in cui l’argomento principale è l’antipsichiatria, a cento anni esatti dalla nascita del suo fondatore Franco Basaglia, padre della rivoluzione copernicana della cura mentale, che culminò anche in Italia con la chiusura dei manicomi, dove fino ad allora venivano chiusi e detenuti i «matti» fino alla loro morte. Oggi sembra preistoria, ma la rivoluzione basagliana si è compiuta solo l’altro ieri, si può dire, e tornano di frequente, con l’ondeggiare della barra politica del governo, le tentazioni di riaprire quelle prigioni «senza colpa».
LO SPETTACOLO, titolo Mattimoni, sull’onda delle belle musiche e canzoni suonate ovviamente dal vivo, e dei bei dialoghi (orma perfetti meccanismi teatrali quelli approntati da Merendelli e Pennacchini) è molto coinvolgente, anche se poi traspare netto in filigrana, il valore politico e culturale del racconto cui si assiste. E l’ottima cucina e il buon vino toscano, che volteggiano per le tavole, si fanno elemento di coesione morale e politica attorno al tema spinoso.
Può essere interessante invece scoprire, per chi frequenta, o tanto più abita, questo spicchio d’Italia tra l’autostrada del sole e l’est (che poi sarebbe l’Umbria) come proprio qui, dopo l’inizio all’ospedale psichiatrico di Trieste, si sviluppò e irrobustì il progetto di nuova cura psichiatrica di Basaglia e dei suoi, che pure si sono poi trasferiti (e alcuni già originari) tra queste montagne e pianure. Non è un caso che lo stesso Basaglia diresse l’istituzione psichatrica aretina, tra le prime ad esser «liberata» dalla vecchia violenta repressione come unica cura della malattia mentale.
TUTTO QUESTO preambolo, seppur necessario, rischia però di trascurare l’operazione teatrale che conduce, lungo ragionamenti e ricordi, in un’Italia che ha avuto anche crescite culturali di grande importanza, nonostante i cattivi esempi in continuazione sfornati dalla sua classe politica (anche prima del diapason dell’attuale governo). Tovaglia a quadri ci ha mostrato da anni, e forse «insegnato», come anche tra un bicchiere di rosso toscano e una forchettata di bringoli al sugo finto si possano raccontare storie ed episodi su cui ridere e ragionare, anche quando contengono verità scomode e comportamenti che avrebbero bisogno di una bella regolata.
Si parte così, nel racconto anghiarese (tutti seduti a tavola all’aperto presso la Locanda di Sorci, fino al 19 agosto), dai preparativi, e combattimenti, familiari per un matrimonio che si andrà a compiere. I personaggi che vi intervengono sono di classi diverse, buoni e cattivi, simpatici o dispettosi, caustici o ecumenici, tutti però interpretati da concittadini ben noti, dal barista alla storica dell’arte, dalla funzionaria comunale al sarto.
OGNUNO si gioca il suo ruolo, elabora l’intreccio, suggerisce soluzioni. Sullo sfondo di quel formicolio operoso, con punte di eccellenza nel canto o nella mimica, cresce anche la grandezza dei personaggi storici che vengono evocati. Personalità che hanno portato progresso all’intero paese, come l’esperienza basagliana insegna. Il confronto con i vicini di tavola, come si diceva una volta, «aguzza l’ingegno». E quel potersi riconoscere in quella storia che pochi anni fa ha fatto progredire il paese a livello civile, e anche internazionale, fa defluire il pubblico con una certa soddisfazione. E anche con il piccolo orgoglio di poter andare la mattina dopo in un ufficio comunale o al bar, conoscendo le qualità artistiche (alcune davvero impagabili) dei propri interlocutori. Come diceva un vecchio slogan, «il paese che vorrei».
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