Tour e mondiali di calcio come macchine del mito
Critica dello sport Negli articoli sportivi di Franco Cordelli i grandi eventi continuano a produrre segni, cioè «romanzi», anche quando il tifo è cessato. Torna in libreria, da Luigi Pellegrini, «Scipione l’italiano»
Critica dello sport Negli articoli sportivi di Franco Cordelli i grandi eventi continuano a produrre segni, cioè «romanzi», anche quando il tifo è cessato. Torna in libreria, da Luigi Pellegrini, «Scipione l’italiano»
L’Olimpiade, o un Mondiale di calcio, o il Tour de France sono luoghi in cui «il nazionalismo si sublima», dove «il passato non è maestro di vita», dove – finalmente – «coincidono i nostri due grandi nemici, il caso e la necessità». Sono «macchine mitologiche» che producono segni e che continuano a produrli anche quando il tifo è cessato. In una parola, romanzi. Sono questi segni che Franco Cordelli indaga in Scipione l’italiano, una raccolta di alcuni suoi articoli sportivi riproposta ora da Luigi Pellegrini editore (pp.142, € 12,99) a ventisei anni dalla prima edizione per Gremese. Morfinizzato, culturalmente, dalle odierne superficiali trasmissioni televisive dove il giornalista è, nello stesso tempo, «opinionista» e fazioso, il lettore di Scipione l’italiano scoprirà finalmente come si deve parlare di sport e come essere tifoso. Per le coordinate è sufficiente l’articolo che apre il libro, un dialogo morale nel quale si confrontano le opinioni di un grande tifoso (Scipione, ovvero lo stesso Cordelli) e di una non-tifosa (Vittorina), la quale accusa il suo interlocutore di non essere altro che «un credente», il quale corre a casa ad accendere la televisione come se dovesse andare a una messa. Scipione le fa notare che «lo sport, come tutto, è naturalmente due cose: una realtà e una metafora. Solo che non si sa più quale sia la realtà e quale la metafora».
Gli sport sui quali Cordelli si sofferma più a lungo e volentieri sono il calcio (che, tra tutti i giochi di squadra, giudica «il più complesso ed evoluto»), il ciclismo e l’automobilismo. Piuttosto che racconti, i suoi testi sono discussioni, o spunti per una discussione sullo sport. A sostegno delle sue tesi, Scipione-Cordelli chiama di volta in volta a testimoniare Flaubert, Henry Miller, Verga, Malraux, Flaiano, Savinio, Kleist, Baudelaire. Il quale Baudelaire è citato nell’epigrafe di apertura: «La superstizione è il serbatoio di tutte le verità». Chi, infatti, è più superstizioso del tifoso di calcio che crede sempre di avere la verità in tasca? Quale fede religiosa è più forte della fede nella propria squadra in un calcio che, come sosteneva Moravia nel ’90, è la religione della civiltà di massa? Cordelli ha il merito di non manifestare mai la sua, non mancando tuttavia di stilare una classifica dei dieci migliori ciclisti di tutti i tempi o tratteggiare in poche righe i migliori giocatori dei mondiali di Spagna (1982) e del Messico (1986), a partire da Platini.
L’articolo dedicato al Gran Premio automobilistico di Imola, nel quale Gerhard Berger – come Lauda dieci anni prima – ebbe un grave incidente, è l’occasione per parlare del rapporto con la morte e, ancora una volta, della fede nello sport: «Credo in Dio e nella Ferrari», disse il pilota in ospedale. Entrambi i piloti austriaci si sono salvati, ma sarebbe stata possibile la morte di entrambi. «Il risultato è lo stesso», scrive Cordelli, il quale qui ricorda due bellissimi versi di Elio Pagliarani: «Quanto di morte noi circonda e quanto / tocca mutarne in vita per esistere».
Resta il dato, ancora una volta, della superstizione sportiva: «Tutti i valori, in ultima analisi, anche i più sacri, non sono che superstizione», scrive Cordelli. Perché «valori non ce ne sono, se non quelli che ci inventiamo, un po’ per caso, un po’ per un’oscura necessità, che è lo stesso». In definitiva, il libro di Cordelli non è che una lunga e disincantata dichiarazione d’amore, perché lo sport è un amore vero, al quale pochi – sportivi e tifosi – saprebbero rinunciare.
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