Dalle Metamorfosi di Apuleio ne hanno stillato un monologo, Francesco Lagi e Francesco Colella del Teatrodilina, concentrando in cento minuti le peripezie di Lucio, il protagonista asinino degli undici libri dell’autore latino. Diretto da Lagi e affidato al corpo scenico di Colella, L’asino d’oro – con questo titolo sono anche conosciute le antiche pagine – è occasione per quest’ultimo di passare dal registro comico a quello tragico e mostrare il suo virtuosismo istrionico, apprezzato nei particolari anche per l’intimità dello spazio dell’Argot Studio, e insieme l’estrema umanità di Lucio, forse lo stesso Apuleio. Quella irrefrenabile curiosità che lo porterà subito a trasformarsi in un asino a causa di un magico olio, donatogli per sbaglio dalla sua amata, e a vagare da un padrone all’altro, tra sofferenze e gioie impreviste. Entra in scena trasportando una valigetta, che nel finale sarà il mezzo per riacquistare le sue umane sembianze, non prima però di aver vissuto in forma di asino, ma con la coscienza di uomo, terribili e cruente, e anche erotiche fino all’inverosimile, avventure. Torture e sortilegi con briganti, principesse e pasticceri, le favole, compresa Amore e Pasiche, di Apuleio tornano nella drammaturgia di questo viaggio iniziatico lungo e doloroso che forse a Giordano Bruno qualcosa ha rubato. Come un adolescente, avido di conoscenza fino alla stupidità, Lucio si muove su un tappeto di petali bianchi, sempre pronto a meravigliarsi del mondo e dei suoi accadimenti, arriverà a una nuova consapevolezza.