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Tornano i senatori regionali, ma per il Quirinale il Pd potrà fare da solo

Tornano i senatori regionali, ma per il Quirinale il Pd potrà fare da soloLa ministra delle riforme Maria Elena Boschi

Riforme Polemiche per il mantenimento dell’immunità nel senato dei sindaci. Calderoli si pente

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 22 giugno 2014

È l’immunità parlamentare concessa anche ai nuovi senatori a far discutere. Nel testo base delle riforme costituzionali proposto dal governo non è prevista – l’articolo 6 riserva la prerogativa solo ai deputati. Un emendamento dei relatori Finocchiaro e Calderoli la tiene invece in vita, per deputati e senatori, nella forma attenuata prevista oggi dall’articolo 68 della Costituzione che (dopo la riforma del ’93) esclude l’autorizzazione a procedere per le indagini e la mantiene per arresti, perquisizioni e intercettazioni dei parlamentari. Ma i nuovi senatori, secondo quanto propone il governo, saranno 95 tra consiglieri regionali e sindaci, categorie per niente estranee alle recenti indagini per corruzione. «Un sindaco nei confronti del quale si procedesse per fatti commessi durante il suo mandato amministrativo (tristemente noti) potrebbe usufruire, in quanto senatore, delle immunità», attacca Pippo Civati, leader dell’ultima opposizione interna del Pd. Replica la ministra delle riforme Boschi, prendendo le distanze da emendamenti che pure il governo ha concertato direttamente a palazzo Chigi: «L’immunità? È una proposta dei relatori, vedremo quello che accadrà poi in seguito». Si inserisce anche il senatore-relatore Calderoli, disponibile a cambiare idea nemmeno 24 ore dopo aver depositato l’emendamento: «Togliamo l’immunità sia ai deputati che ai senatori, tutti siano trattati come cittadini comuni».

Ma sono molte altre le novità contenute negli emendamenti dei relatori, che dalla prossima settimana saranno sub-emendati e discussi in commissione. Alcune sono positive, come la possibilità che le leggi elettorali vengano sottoposte alla Corte Costituzionale prima della promulgazione. O come il fatto che il senato torni a «giudicare» e non più solo a «valutare» i titoli di ammissione dei senatori (la formula del governo lasciava spazio al caos). O persino la possibilità che il presidente della Repubblica possa rifiutare la promulgazione non di tutta una legge ma solo di specifiche disposizioni – novità che vuole regolare la prassi introdotta da Napolitano della promulgazione-dissenziente. Altre novità si risolvono in un rinvio, come quello alla legge che dovrà «disciplinare le modalità di elezione dei membri del senato tra consiglieri regionali e sindaci», cioè l’argomento più dibattuto fin qui. Da riempire di contenuti è poi il rinvio ai «diritti delle minoranze parlamentari» che dovranno essere garantiti dal regolamento della camera, dove se si confermasse l’opzione per una legge ultramaggioritaria le minoranze saranno assai sotto rappresentate.

C’è poi una correzione che non corregge. I relatori hanno recuperato la figura dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica. Ma hanno contestualmente diminuito il numero dei senatori. Ragione per cui adesso i «grandi elettori» saranno 788 in totale. Dopo il terzo scrutinio, cioè, per eleggere il presidente della Repubblica basteranno 395 voti. Con l’Italicum o con un altro sistema con un premio di maggioranza della stessa entità, il Pd conquisterebbe da solo 340 seggi solo alla camera. L’elezione del capo dello stato, massimo organo di garanzia, rischia così di diventare un affare privato di un solo partito.
Tutto questo se l’intesa del Pd con Forza Italia sui nuovi emendamenti reggerà al doppio passaggio, in commissione e in aula. I pareri contrari nel partito di Berlusconi si moltiplicano, alcuni senatori annunciano che non voteranno mai questa riforma, ma come al solito tutto è affidato alla decisione finale e alle convenienze dell’ex Cavaliere. E se fosse rispettato il calendario serrato che chiede il governo, l’ultimo appello in aula entro luglio, Berlusconi si troverebbe a dover scegliere se restare nel patto con Renzi proprio a ridosso del giudizio di secondo grado nel processo Ruby.

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