Economia

Torna lo spread ma non fa (ancora) paura

Torna lo spread ma non fa (ancora) pauraIl presidente della commissione europea Jean Claude Juncker

Incubo Speculazione Il differenziale fra i Btp italiani e i Bund tedeschi tocca quota 151. Nel novembre 2011 era a 552. Si allarga la forbice anche con Spagna e Portogallo. Mediaset peggiore a piazza Affari

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 maggio 2018

Non lo sentivamo nominare con così tanta insistenza dall’ormai lontana estate del 2011. Da quei giorni la parola «spread» è sinonimo di bufera economica e anche politica. La sua escalation portò alle dimissioni del governo Berlusconi e alla nascita del governo Monti. Ieri «l’incubo» è ricomparso anche se basta comparare i numeri per capire come le situazioni non siano (ancora?) assolutamente paragonabili. Innanzitutto un ripasso: lo spread è il differenziale di rendimento tra il titolo di stato decennale sul debito italiano e il pari scadenza tedesco. Al termine delle contrattazioni lo spread era a 151 punti base, ben 20 punti base sopra la chiusura di martedì. Il 9 novembre 2011 era a 552 punti base. Il rendimento del Btp decennale italiano è passato in un giorno dall’1,95 al 2,12 per cento. Nel 2011 toccò il 7,2 per cento.

IERI PERÒ LO SPREAD SI È AMPLIATO anche nei confronti del Bono decennale spagnolo – salito a oltre 70 punti base contro i 59 di martedì – e dei titoli del Portogallo – è aumentato in un giorno di 9 punti e giunto a quota 30.
La borsa di Milano poi ha archiviato la seduta con l’indice Ftse Mib che scivola sotto quota 24mila punti portandosi ai minimi da un mese. Il tutto mentre le altre borse europee hanno chiuso sostanzialmente invariate con Milano unica anomalia.

Proprio le variazioni di giornata testimoniano come la speculazione si stia iniziando a muovere e più di un analista finanziario dà per scontato che il varo di un governo Lega-M5s farà impennare lo spread con la Germania oltre i 200 punti, valore non toccato da anni.

NON SONO BASTATE LE SMENTITE sull’uscita dall’euro, sulla richiesta alla Bce di un taglio del debito pubblico di 250 miliardi e nemmeno le parole del presidente della commissione europea Jean Claude Juncker – «L’Unione europea non sarebbe completa senza la nazione italiana e il popolo italiano» – per calmare le acque.

LE PAROLE PIÙ INASPETTATE sono quelle di Silvio Berlusconi. Dal vertice Ppe di Sofia il riabilitato leader di Forza Italia vede nell’aumento dello spread quasi una cosa positiva: «Per ora non c’è nessun complotto, anzi il contrario. C’è la voglia di aiutare l’Italia ad uscire dalla situazione in cui siamo», risponde a chi gli riferisce le parole di Di Battista (M5s) che parlava di «ritorno della congiura dello spread». Detto questo, «in Europa c’è moltissima preoccupazione e anche io sono molto preoccupato per quello che può succedere alle aziende e ai risparmiatori», sottolinea Berlusconi. Forse il cavaliere si riferiva a Mediaset che, anche per colpa di un trimestre non proprio brillante, ha chiuso in calo del 5,28 per cento, peggiore ieri a piazza Affari.

FRA I BANCHIERI INVECE I PARERI sono contrastanti. «Aspettiamo un accordo», dice il presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro, che ritiene che le tensioni solo momentanee. «I mercati sono tranquilli e quindi questa è una buona cosa», chiosa a margine dell’esecutivo Abi a Milano. Tira invece un sospiro di sollievo Miro Fiordi, presidente di Creval (Credito Valtellinese), per aver completato il rafforzamento patrimoniale prima del voto: «Quando a novembre abbiamo annunciato il nostro piano dicendo che avremmo fatto di tutto per chiudere l’aumento di capitale prima delle elezioni, e poi ci siamo riusciti, mi pare che non abbiamo fatto male», sottolinea.

SUL FRONTE POLITICO il segretario di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo ricorda: «L’ultima volta che l’Italia ha subito il ricatto dello spread ci siamo ritrovati il governo Monti, con le sue misure antipopolari. Questa volta vogliono propinarci un governo Cottarelli per proseguire l’opera? Basta con queste manovre per condizionare la vita democratica dei paesi europei».

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