Torna lo spauracchio trivelle
La società Rockhopper presenta ricorso al Tar sulla legittimità delle limitazioni di legge «Perché questa matassa, in questo Paese?», è la domanda della ricercatrice e docente universitaria Maria Rita D’Orsogna, abruzzese «doc» anche se lavora in California, che segue vicende e scempi legati […]
La società Rockhopper presenta ricorso al Tar sulla legittimità delle limitazioni di legge «Perché questa matassa, in questo Paese?», è la domanda della ricercatrice e docente universitaria Maria Rita D’Orsogna, abruzzese «doc» anche se lavora in California, che segue vicende e scempi legati […]
«Perché questa matassa, in questo Paese?», è la domanda della ricercatrice e docente universitaria Maria Rita D’Orsogna, abruzzese «doc» anche se lavora in California, che segue vicende e scempi legati al petrolio.
Il quesito riguarda la piattaforma off shore «Ombrina mare» che la Rockhopper Exploration vuole realizzare in provincia di Chieti a ridosso delle spiagge della decantata Costa dei Trabocchi.
Il governo dopo il colpo di scure inferto prima di Natale, invece di «seppellire» definitivamente il progetto, ha prorogato di un anno la concessione alla multinazionale. Lasciando tutti interdetti, tutti tranne il coordinamento No Triv, che aveva messo in allerta riguardo ad eventuali tranelli. Nel frattempo la battaglia, che sembrava avviarsi a conclusione, prosegue a suon di carta bollata e ricorsi.
Attraverso emendamenti alla legge di Stabilità, il governo a fine 2015 ha ripristinato il limite di 12 miglia dalla costa per nuovi permessi di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare.
E la Rockhopper, compagnia con interessi nel bacino delle Falkland e nel Mediterraneo, che sembrava aver incassato tutte le autorizzazioni per avviare la costruzione del contestatissimo impianto, in un’area di 271,25 chilometri quadrati, si è ritrovata improvvisamente bloccata.
Così il 30 dicembre scorso si è rivolta alla magistratura, con un ricorso al Tar del Lazio contro il ministero -oltre che nei confronti della Regione Abruzzo, delle Province di Pescara e Chieti e dei comuni interessati dal progetto – , reo di «non aver ancora rilasciato la concessione di coltivazione del giacimento Ombrina mare», «in violazione» – viene fatto presente negli atti – di tutti i termini di legge e per essere «in contrasto col fondamentale principio del buon andamento dell’azione amministrativa».
Però scrive sul proprio sito, ai propri azionisti… «At the same time, Rockhopper has been granted a 12 month extension to the suspension of the Ombrina Mare exploration permit to 31 December 2016». Ossia… «Allo stesso tempo abbiamo ottenuto una proroga della concessione per 12 mesi…». Che significa? «Che per l’Abruzzo non è l’ora di cantare vittoria, io credo”» dichiara Maria Rita D’Orsogna. Prima si fa la legge e poi subito… l’inganno. «I provvedimenti pre festivi sono stati adottati per evitare il referendum? – chiede la ricercatrice – Era solo un’attesa in vista di elezioni future, e quindi inventiamoci uno standby? Era perché i prezzi del petrolio sono bassi e quindi meglio aspettare? C’è dell’altro? E chi lo sa. Sappiamo solo che c’è questo limbo di un anno. È una storia senza fine, in cui, come sempre, a perderci è forse l’unica cosa più importante dell’ambiente italiano, e cioè la democrazia».
Ma ripercorriamo le tappe di Ombrina. «Prima del 2010 – rammenta D’Orsogna – non esistevano fasce di rispetto in mare e infatti si poteva trivellare un po’ dove capitava. Pure a meno di due chilometri dalla riserva naturale di Punta Aderci, nel Vastese, come voleva fare la Petroceltic d’Irlanda. Questo mentre in California, per dirne una, la fascia di rispetto era di 100 chilometri da almeno trent’anni». Nel 2010 anche l’Italia vara la sua fascia di protezione, di 5 miglia, che diventano 12 in caso di aree protette.
Ombrina pare defunta, perché a sei chilometri dal litorale. «Nel 2012 arrivano Corrado Passera e i suoi amici a inventarsi il barbatrucco della fascia di rispetto “non retroattiva”: non si applica a concessioni esistenti, che poi sono quelle che coprono la stragrande maggioranza delle coste della Penisola». Ombrina resuscita. Nel 2015 la fascia di rispetto viene ripristinata. «Ombrina muore di nuovo. Anzi, no. È solo in coma».
«Non è da Paese normale – tuona la docente universitaria – fare una legge e cambiarla cosi radicalmente ogni due o tre anni. Con questi comportamenti non siamo di fronte a governanti che hanno a cura la Res publica, in modo pulito, chiaro. Abbiamo a che fare con una accozzaglia di decisioni confuse. Tornando ad Ombrina: perché mai aspettare ancora un altro anno? Sono otto anni che si va avanti. A rimpalli. E siamo ancora qui a discutere di un petrol-mostro che nessuno, da nessuna parte del mondo civile, metterebbe così vicino a riva».
È evidente – sostiene invece il coordinamento No Ombrina – che la nuova norma ha stoppato il progetto, così come appare chiaro come non sia centrale la questione della sospensione del decorso temporale del permesso di ricerca (che comunque sarebbe scaduto tra anni anche senza la sospensione). «Prima eravamo noi a dover fare ricorso al Tar – dicono gli attivisti – Ora sono loro, in un sentiero molto stretto. Ovviamente interverremo ad opponendum per contrastare tutte le istanze dell’azienda e per evitare qualche scherzo da parte del ministero».
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