Come a voler sancire un ritorno alla normalità il Ca’Foscari short film festival sposta le sue giornate nel pieno della primavera accogliendo nella vita culturale della città e soprattutto dell’università, registi, artisti e studiosi provenienti da tutto il mondo incentivando l’importanza di un dialogo senza pregiudizi. Il manifesto della 12° edizione del festival, il primo festival in Europa concepito, organizzato e gestito da un’università grazie al coordinamento del direttore artistico e organizzativo Roberta Novielli, è stato realizzato anche per quest’anno da Lorenzo Mattotti, un omaggio a una splendida Gong Li che guida lo sguardo dei tanti ragazzi del Ca’foscari all’interno della città di Venezia. Partendo dal cuore della vita universitaria, l’Auditorium Santa Margherita, il festival dal 4 al 7 maggio sarà «diffuso» all’interno di istituzioni importanti come la Fondazione Ugo e Olga Levi, il Museo d’Arte Orientale – Ca’ Pesaro, la Fondazione Querini Stampalia, la Casa del Cinema di Venezia e la Fondazione Bevilacqua La Masa confermando il legame sempre più importante con la città.

Il programma di quest’anno è ricco d’incontri, proiezioni, eventi collaterali e Masterclass dedicate a figure importanti nel cinema mondiale come il direttore della fotografia Luca Bigazzi che ripercorrerà la sua lunga carriera con registi come Paolo Virzì e Gianni Amelio e il sodalizio con Paolo Sorrentino con cui ha lavorato fin dal primo film del regista Le conseguenze dell’amore, passando per il Divo fino a Loro. Il secondo ospite d’eccezione sarà la regista giapponese Yukiko Mishima con un programma a lei dedicato: sarà il suo ultimo lungometraggio Shape of Red a inaugurare il festival nella giornata di pre-apertura del 3 maggio. Il film, adattamento del libro di Rio Shimamoto Red, segue la quotidianità di una donna nella società giapponese contemporanea, un ritratto delicato in cui emergono i dubbi di una vita matrimoniale monotona e il desiderio di realizzare una vita professionale piena e di successo.

Quest’anno il festival dedica uno spazio al cinema d’animazione «breve» con ospiti due grandi animatori come Peter Lord, figura cardine per l’animazione europea e co-fondatore della storica casa di produzione inglese Aardman Animations con la quale ha creato personaggi iconici come Wallace & Gromit; e il grande artista inglese di puppet animation e stop motion Barry Purves che presenterà il suo ultimo lavoro No Ordinary Joe.

Torna virtualmente anche quest’anno l’iconico regista giapponese Shin’ya Tsukamoto che presenterà in anteprima italiana il suo romanzo Un serpente di giugno, adattamento del suo classico film del 2002. La presentazione del libro, edito da Marsilio, sarà l’occasione per esplorare la carriera letteraria di Tsukamoto, forse meno conosciuta di quella cinematografica, per capire come l’autore si rapporta ai diversi tipi di espressione artistica. Da Mumbai, invece, sarà in collegamento il regista Ashish Pandey per il programma a cura di Cecilia Cossio, in cui il regista indiano presenterà il sui lavori The Cabin Man, Khule darwaaze e infine Nooreh; lavori attraverso cui il regista indaga e rappresenta la fragilità della vita.

Il cuore pulsante del festival è il Concorso Internazionale dedicato ai cortometraggi provenienti dalle scuole di cinema di tutto il mondo, una vetrina tra le più prestigiose d’Europa per le nuove generazioni di registi che in modo lucido e diretto riflettono sulla storia e lo spirito tempo, sulla società e le sue contraddizioni, ma soprattutto sulla propria identità cercando il loro posto nel mondo come farà Sètchemè, ragazza albina protagonista del corto di Medessè Agohoundjè, Another White Girl. Sètchemè vive con disagio la sua diversità, si sente sola e continua a porsi domande sulla sua esistenza che affronta in un percorso di accettazione grazie alla sua amica Mélanie. Ancora più duro è il percorso che deve affrontare il protagonista del corto Shikhandi di Sahil D. Gada che con sapienza intreccia realtà e mito per raccontare il tema dell’identità transessuale nell’India contemporanea: alla difficile ricerca di perdono e accettazione del protagonista fa da sfondo la storia di Shikhandi, l’eroina androgina del poema epico Mahabharata.

Tra i temi affrontati dai giovani registi risaltano le opere dedicate alla guerra, oggi sempre più attuale, in cui emergono tra paure e vuoti il bisogno di ritrovare un senso di umanità e fratellanza come nel corto Wiedersehen di Helene Sorger ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. In un edificio abbandonato, non lontano dal campo di battaglia, per caso s’incontrano due soldati di schieramenti opposti che per un momento, tra la paura e la stanchezza, dimostrano l’estremo bisogno di cura e di dialogo in cui far emergere la propria umanità. Angoscia e ansia accompagnano invece le giornate del protagonista di The table of grave del regista Mirak Zymberaj che, nel silenzio carico di tensione, riporta alla memoria il conflitto che nel 1999 si consumò in Kosovo. Il protagonista cerca di proteggere la figlia e il nipotino dalle milizie serbe che occupano la zona. Costruisce così un nascondiglio sotterraneo che da fuori ha l’aspetto di una tomba, uno squarcio in cui custodire il desiderio di vita e che l’uomo cerca di comunicare senza far insospettire i combattenti, suonando sulla tomba improvvisata una tavola di legno per far sentire la sua presenza ai cari «sepolti», rassicurandoli.

Dopo i racconti provenienti da due lunghi periodi di lockdown i giovani registi s’interrogano sugli effetti della pandemia e delle misure di contenimento sull’economia globale e sul difficile cammino di chi già era in difficoltà, rilegato ai margini della società come l’anziana senzatetto Zhi Lian protagonista di Scavenger di Nicholas Ong Kok Weng. Il regista segue in una Singapore inospitale, la quotidianità sempre più difficile dell’anziana signora che si muove, sotto lo sguardo ostile dei passanti, alla ricerca degli oggetti rituali indispensabili per celebrare l’imminente commemorazione del suo matrimonio. Tra le strade di Rio de Janeiro vive invece il protagonista di Neon Phantom, João che ha perso il lavoro a causa della pandemia. Come molti nel suo paese, è costretto ad accettare un impiego come rider e ben presto si rende conto di quanto la realtà che sognava sia molto distante dalla quotidianità. Attraverso l’alternarsi di dialoghi e coreografie corali, accompagnate da canti, il regista Leonardo Martinelli mette in luce la realtà precaria dei lavoratori dell’odierna gig economy: il costante timore di ricevere una cattiva recensione ed essere bloccati sulle piattaforme, le attese infinite, la mancanza di tutela e sicurezza, le velate minacce da parte dei clienti. Il corto, presentato al festival di Locarno, riesce a intercettare i disaggi di questa nuova classe lavoratrice che sempre in più parti del mondo chiede che siano riconosciuti i diritti lavorativi più basilari.