Norberto Bobbio
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Alias Domenica

Tormenti di un cacciatore di dicotomie: Norberto Bobbio, maestro di azione secondo Gustavo Zagrebelsky

Saggi «Il dubbio e il dialogo», da Einaudi
Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 20 ottobre 2024

La profondità di un rapporto intellettuale e l’intensità di un affetto autentico traspaiono fin dalle prime parole – «Vieni a trovarmi!» – del nuovo libro di Gustavo Zagrebelsky, Il dubbio e il dialogo Il labirinto di Norberto Bobbio («Le vele», Einaudi, pp. 96, euro 13,00). E, non caso, il testo si conclude sul valore dell’amicizia espresso nel Dialogo fra Plotino e Porfirio di Leopardi, e con le parole di Bobbio «più che i concetti, contano gli affetti», espressione perturbante, vista la fede illuministica nell’argomentazione razionale sempre al centro della sua opera.

Il più illustre dei suoi allievi offre uno schizzo del pensiero di colui che resta forse il più importante intellettuale italiano della seconda metà del Novecento, in quattro brevi capitoli: «Etica e politica!», «In teoria», «In pratica», «Humana condicio», dove Zagrebelsky gioca sull’alternanza fra la robusta coerenza teorica di Bobbio e le novità spiazzanti delle sue prese di posizione: Semper idem e semper novus.

Si sarebbe tentati di usare per l’argomentazione di Bobbio l’attributo di «dialettica», ma si sbaglierebbe: perché la cifra della sua teoria è la definizione e l’indagine sulle «grandi dicotomie». Fra i due lati c’è semmai «un’ampia zona rimessa alle scelte pratiche», il campo delle «oscillazioni».

«Il professor Bobbio», come sempre lo chiama Zagrebelsky, è stato piuttosto un «cacciatore di dicotomie», tanto che «l’attrazione esercitata su di lui dal procedere per distinzioni era diventata una necessità e forse anche un piacere, ma qualche volta un tormento», che finiva per manifestarsi anche nel linguaggio del corpo.

Il pensiero dicotomico è essenziale per la chiarificazione concettuale, ma la posta non è la ricerca della verità. Le teorie del diritto e della politica, infatti, «assumono valore solo se indirizzate a comprendere e guidare l’azione»; e l’alternativa che si propone è la scelta fra «dominio oppure convivenza».

Detto per inciso, nel pensiero di Bobbio questa non è, a rigore, una dicotomia. Sotto la nitidezza delle distinzioni e l’esemplare linearità del linguaggio proprio al filosofo torinese, giacciono complesse tensioni, che contribuiscono alla fertilità del suo pensiero.

La scelta per la convivenza richiede un «atteggiamento etico» caratterizzato da tolleranza, dialogo e dubbio. Intesa come un atteggiamento positivo, nei rapporti tra i soggetti e all’interno della conoscenza, la tolleranza è il portato del pluralismo, perché la verità «non può perseguirsi se non da plurimi punti di vista».

Al ricorrente termine «verità», Zagrebelsky aggiunge quasi sempre espressioni nell’ordine del «qualunque cosa significhi»; mentre nelle parole di Bobbio, «la fiducia “nella forza espansiva della verità”» rimanda alla consapevolezza dell’impossibilità di attingere un vero assoluto.

Il dialogo ha segnato l’impegno intellettuale di Bobbio fin dal confronto con i comunisti italiani di cui scrive in Politica e cultura (Einaudi, 1955). E nel suo prefigurare l’approdo del Pci alla «democrazia progressiva» e allo «‘Stato sociale’ delineato dalle costituzioni democratiche del nostro tempo», secondo Zagrebelsky avrebbe avuto ragione. Poi, verrebbe da aggiungere, è arrivato il neoliberalismo.

Gli interrogativi che Bobbio intendeva «seminare» non erano quelli degli scettici, né alludeva alla «nausea della conoscenza», e nemmeno al «dubbio metodico» di Cartesio. Il suo era piuttosto un «dubbio curioso», in cui rendeva «omaggio alla verità che è stimolo della domanda: ciò che penso, ciò in cui credo, eccetera, sarà ‘davvero vero’? nel senso del possibile, accettabile e desiderabile nella prassi».

La verità ricercata attraverso il dubbio non è «quella verticale che scende fino alla radice dell’essere, ai ‘fondamenti ultimi’». È una verità «orizzontale», non metafisica; è ricerca del «possibile, accettabile e desiderabile nella prassi».

A proposito di oscillazioni spiazzanti, Zagrebelsky ricorda che in uno dei suoi ultimi interventi, il Dialogo intorno alla repubblica con lo studioso di Machiavelliqa Maurizio Viroli (Laterza, 2003), il teorico dell’«età dei diritti» dichiarò che avrebbe voluto scrivere un’«età dei doveri». Non ci è dato sapere se questo fosse il segno di una possibile svolta teorica, comunque non consumata. Per Bobbio, l’affermazione dei diritti significava una «rivoluzione copernicana»: guardare le istituzioni politiche «dal basso», ex parte populi anziché, come nella tradizione, ex parte principis.

«Non esistono dei diritti innati, sono tutti acquisiti o devono venir acquisiti con la lotta»Ernst Bloch, teorico del «principio speranza»

Alla frase di Bobbio «Non ho nessuna speranza», Zagrebelsky oppone le affinità che, proprio sul tema dei diritti, il suo maestro esibiva con Ernst Bloch, teorico del «principio speranza», il quale sosteneva che «Non esistono dei diritti innati, sono tutti acquisiti o devono venir acquisiti con la lotta».

E aggiungeva che al diritto soggettivo è intrinseca la rivendicazione, particolarmente evidente nei «diritti di lotta» e nei «diritti di opposizione». In una delle sue pagine memorabili, Bobbio scrisse che «i diritti naturali sono diritti storici» e si generano nei conflitti sociali: «Sono nati da lotte per la difesa di nuove libertà contro vecchi poteri».

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