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Too big to pay: le zero tasse dei miliardari Usa

Too big to pay: le zero tasse dei miliardari UsaUn uomo con il cartello «Follow the Money» di fronte alla Corte Suprema Usa nel 2020 durante le indagini sui patrimoni di Trump foto Getty – Getty

Scoop fiscale ProPublica rivela 15 anni di dichiarazioni dei redditi dei 25 uomini più ricchi del paese. Versato in media il 3,4% dei patrimoni

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 10 giugno 2021

Nel 2011 l’uomo più ricco del mondo non ha pagato un dollaro di tasse federali: con una fortuna di 18 miliardi, Jeff Bezos ha chiesto un credito di 4.000 dollari per i figli. L’ha ottenuto. Nel 2018 il secondo uomo più ricco del mondo, Elon Musk, non ha pagato alcuna tassa federale. Dal 2014 al 2018 il decano mondiale dei finanzieri, Warren Buffett, ha pagato in tasse federali lo 0,98% dei 24 miliardi che ha accumulato.

E NESSUN DIO ha fatto piovere pece e zolfo sulla città. Da ieri il Fbi e l’Internal revenue service (l’Agenzia delle entrate americana) hanno lanciato indagini sulla clamorosa fuga di dati fiscali pubblicata dalla testata online ProPublica: quindici anni di dichiarazioni dei redditi dei 25 uomini più ricchi del paese. Tutto quello che hanno accumulato, tutto il poco o nulla che hanno pagato.

ProPublica non è una ong di sognatori. È una testata online con elmetto e paradenti, che negli ultimi dieci anni ha vinto quattro Pulitzer, pubblicata dal 2007 da una società senza scopo di lucro creata da Herbert e Marion Sandlers, marito e moglie newyorchesi che vendettero la loro banca e nel 2007 aprirono la loro innovativa redazione.

PROPUBLICA non ha rivelato la sua fonte, dichiarando di «aver ricevuto una vasta raccolta di dati in forma cruda». È il suo prestigio, e il meticoloso lavoro svolto per mesi, che ha fatto sì che ogni altra testata mondiale abbia preso quei dati per buoni.

La Casa Bianca ha dichiarato «illegale» la pubblicazione, il resto del mondo legge allibito. Nei quattro anni 2014-2018, i 25 top miliardari d’America hanno visto la loro fortuna aumentare di 401 miliardi, e in quel periodo hanno pagato 13,6 miliardi in tasse federali.

Un cifrone? Una barzelletta: è il 3,4%. Meno di un quarto dell’aliquota media delle famiglie americane, che incassano circa 65mila dollari l’anno e pagano il 14%. Ed è tutto legale. Lo scoop fiscale di ProPublica arriva in un momento delicato, in cui il neopresidente Biden parla di aumentare le tasse ai ricchi. Ma Biden vuole alzare dal 37% al 39% l’aliquota sulle grandi fortune. Il problema è che le grandi fortune non pagano il 37, e neanche il 3,7. Pagano il 3,4 – chi lo paga. Perché tra i paperoni d’America va di moda non pagare nulla.

NON HA PAGATO NULLA Jeff Bezos (Amazon) nel 2007 e nel 2011 – e in questo 2021, dopo aver bloccato l’ingresso del sindacato, Amazon sta chiedendo finanziamenti pubblici. Non ha pagato nulla Elon Musk (Tesla) nel 2018. Ha pagato lo 0,98% in quattro anni il decano degli speculatori, Warren Buffett (Berkshire Hataway). George Soros non ha pagato nulla nel 2016, 2017 e 2018.

L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg (gruppo Bloomberg Lp) ha pagato l’1,30% dei 10 miliardi di dollari che ha guadagnato nel 2018. Altre cifre seguiranno, promette ProPublica. Alla fine del 2018, i 25 paperoni valevano tutti insieme 1,1 trilione di dollari (un trilione, per chi non lo vedesse spesso, sono mille miliardi). Per fare la loro ricchezza ci vorrebbero 14,3 milioni di americani normali.

LA DISTRUZIONE DEI SISTEMI fiscali «keynesiani» avvenuta negli anni 80 e 90, e il concetto che i mercati sarebbero stati più efficienti degli stati nel redistribuire risorse, hanno portato a questo brillante risultato. Il problema è che l’Irs, che pure ha 80mila dipendenti, continua a dare la caccia all’income, al reddito, e lascia indisturbata la wealth, la ricchezza.

Ma è nella ricchezza che i super-ricchi hanno il loro reddito. Nei clamorosi dati di ProPublica non c’è un solo reato, solo decenni di leggi fiscali pro-ricchezza. Lo scorso aprile gli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman avevano calcolato e reso pubblico che le grandi ricchezze esentasse d’America valevano 2,7 trilioni (o mila miliardi). Nemmeno allora piovvero pece e zolfo.

E all’inizio dello stesso mese, la rivista Forbes – non il manifesto – aveva recensito 55 grandi aziende americane che non avevano pagato un solo dollaro di tasse federali, grazie al Tax cuts act firmato Donald Trump. C’era il gotha del paese: Nike, FedEx, il gigante del food Archer Daniels Midlands, quello delle tv via cavo Dish Network, quello del software Salesforce… . Contro i primi tagli ai ricchi di George W. Bush, nel 2003 fu proprio Warren Buffett, all’epoca arzillo 73enne, a scrivere un editoriale di fuoco sul Washington Post contro le «tasse voodoo», chiedendo di alzare le aliquote ai ricchi. Quell’editoriale, in Europa lo pubblicò soltanto il manifesto. Non accadde nulla. E il vecchio Warren si stufò e diventò il recordman del taglio fiscale – darà tutto in beneficenza alla sua morte, dice.

E QUI C’È UN ALTRO PROBLEMA: a parte pochi politici liberal, i soli che combattono davvero per tassare i ricchi sono… altri ricchi. Segnatamente il curiosissimo gruppo Patriotic Millionaires, un insieme di gente assai solvibile fondato da Morris Pearl, ex dirigente del fondo mammuth BlackRock (il più grande investitore privato del mondo) e dall’avvocato d’affari Erica Payne. Pearl e Payne hanno scritto «Tax the rich», la bibbia della fuga dal fisco, che denuncia tutti i trucchi. Farsi fare enormi prestiti garantiti dalle azioni possedute, e spendere e spandere quelli (non tassati) lasciando il malloppo al sicuro. Raccogliere beneficienza il cui principale beneficiato è il raccoglitore stesso. Investire in opere d’arte il cui valore cala o cresce sulla base di criteri fantasiosi.

I Milionari Patriottici – per entrare nel gruppo serve un milione cash – propagandano il libro, organizzano show, premono su media e politica, fanno girare ovunque grandi insegne con le facce di Bezos o Musk e la scritta «Tax me if you can», prova a tassarmi. La loro bandiera è la Buffett rule, la regola Buffett, proprio quella proposta di aumenti per i ricchi che il vecchio megamiliardario Warren pretendeva – e che non ha mai applicato a se stesso.

Perché una cosa è vera: tassare il reddito è facile, ma tassare la ricchezza è tecnicamente un autentico incubo. L’Irs ha da tempo gettato la spugna. Ma bisognerà farlo. Prima che una jacquerie globale obblighi i ricchissimi esentasse a fuggire nelle stesse remote isolette che custodiscono i loro soldi.

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