Tonnellate di creme solari sotto i mari
Ambiente I filtri solari che ci spalmiamo sul corpo per proteggere la pelle inquinano il mare. Nel Mediterraneo ne finiscono ogni anno fino a 20 mila tonnellate
Ambiente I filtri solari che ci spalmiamo sul corpo per proteggere la pelle inquinano il mare. Nel Mediterraneo ne finiscono ogni anno fino a 20 mila tonnellate
Non solo plastica, inquinamento, pesca intensiva, cambiamenti climatici, ora sappiamo con certezza che c’è un ulteriore fattore che sta mettendo a rischio la salute del mare: i filtri solari delle creme che ci spalmiamo sul corpo.
LA NOTIZIA negli ambienti scientifici è nota da tempo ma è difficile venire a capo di una soluzione, considerata la necessità di proteggerci dai raggi nocivi del sole e, allo stesso tempo, la difficoltà di decifrare gli ingredienti dannosi per l’ambiente contenuti nelle creme. A questo problema sta lavorando da circa 20 anni un gruppo di ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche.
IL LORO PRIMO LAVORO RISALE al 2003, dopo aver saputo che in Messico, nei cenotes (grotte verticali calcaree che creano delle piscine naturali) era stato proibito l’uso di prodotti solari prima di immergersi in acqua. I messicani avevano notato che le creme uccidevano le delicate forme di vita di quei fragili ecosistemi. «Iniziammo così – racconta Cinzia Corinaldesi, ecologa e responsabile della ricerca – una serie di studi in Messico, Indonesia, Maldive, Mar Rosso, Fiji e altre parti del mondo che in otto anni di sperimentazioni hanno portato alla pubblicazione di un articolo sull’effetto di diversi filtri organici e prodotti solari sulle scogliere coralline tropicali.
DALLE PRIME RICERCHE È EMERSO che i prodotti per la protezione solare possono comportarsi proprio come alcuni inquinanti organici e pesticidi molto pericolosi che aumentano la proliferazione di virus nel mare e determinano lo sbiancamento dei coralli infettando le loro alghe simbionti: «L’oxybenzone, l’octinoxate, il 4-methylbenzylidene camphor e altri conservanti come il butylparaben causavano lo sbiancamento completo dei coralli anche a concentrazioni molto basse».
OLTRE AGLI STUDI IN AREE TROPICALI i ricercatori si sono anche concentrati nel Mediterraneo settentrionale dove, secondo alcune stime attendibili, vengono riversate ogni anno dalle 10.000 alle 20.000 tonnellate di creme solari. Qui si è visto che alcuni organismi marini subiscono danni irreversibili. Tra questi i ricci di mare, che sono ecosystem engineers, ovvero organismi che influenzano la disponibilità di risorse per altre specie modificando e creando l’habitat.
«Il nostro obiettivo – spiega Cinzia Corinaldesi – era proprio quello di capire se le creme solari potessero anche mettere a rischio la vita dei mari a noi più vicini. Anche altri ricercatori si sono concentrati sugli effetti dei filtri solari su ambienti costieri del Mediterraneo, come ad esempio i colleghi spagnoli, che hanno riportato effetti negativi sul fitoplancton, fondamentale per la produzione primaria. Gli effetti dannosi in realtà riguardano tutti i livelli della rete trofica, incluso lo zooplancton che costituisce una risorsa di cibo per i predatori, fino ai grandi animali, come ad esempio le tartarughe».
OLTRE AI FILTRI SOLARI ORGANICI più noti e studiati, tra i quali quelli banditi in diverse aree del mondo, altri filtri della stessa categoria, inclusi cinnamati, benzofenoni e derivati della canfora, possono avere effetti negativi sulla vita marina. In poco più di dieci anni da quegli studi pionieristici, sono state realizzate molte indagini su diversi prodotti solari e il loro impatto sull’ambiente marino da cui sono sfociate decisioni di policy e legislazioni, che hanno portato al bando di alcuni filtri ultravioletti in diverse aree del pianeta: Palau, Aruba, Hawaii, Bonaire (Caraibi), Florida e Isole Vergini. Oggi anche i parchi e le riserve naturali del Messico vietano l’uso di creme solari contenenti filtri organici (chimici) e consentono l’uso dei filtri minerali inorganici (detti anche fisici) identificati come reef safe.
TUTTAVIA, L’ULTIMO LAVORO PUBBLICATO nel 2018 dall’Ateneo marchigiano ha indicato che questo tipo di filtri, considerati meno impattanti, e in particolare le nanoparticelle di zinco e alcune forme di biossido di titanio, possono indurre lo sbiancamento dei coralli in maniera anche più grave dei filtri UV organici, oltre a danneggiare gli stadi di sviluppo di molte specie marine, bio-accumulandosi al loro interno.
E POI C’È UN’ALTRA QUESTIONE: all’interno della composizione delle creme solari sono presenti altre sostanze, incluse fragranze e conservanti, che finiscono in mare insieme ai filtri UV e che possono essere tossiche, anche se la maggior parte di queste resta ancora inesplorata e quindi poco conosciuta. «Gli impatti sulla vita marina – aggiunge Roberto Danovaro, docente di biologia ed ecologia marina – sono anche il risultato dell’interazione tra le varie molecole rilasciate. La gravità dell’impatto può cambiare a seconda della specie e del suo stadio vitale. Ecco perché è importante valutare la tossicità e l’impatto del prodotto complessivo e non solo dei singoli ingredienti. Eliminare solo uno o più componenti considerati dannosi dalla formula completa del prodotto solare non offre garanzie sulla sua eco-compatibilità».
ALLORA, COME SE NE ESCE? «I consumatori – spiegano i ricercatori – dovrebbero scegliere i prodotti senza i filtri dannosi (reef safe o eco-friendly). Non solo, dovrebbero anche leggere con attenzione le etichette dei solari e verificare che ci siano chiari riferimenti a test per valutare l’eco-compatibilità, test che devono essere stati effettuati da istituzioni scientifiche indipendenti dalle aziende produttrici. Se questi dettagli vengono dichiarati in modo trasparente i prodotti offrono una maggiore garanzia».
UN BEL ROMPICAPO IN CUI NON MOLTI vacanzieri avranno voglia di infilarsi. La responsabilità di informare dovrebbe ricadere sulle aziende e per fortuna qualcuna sta cominciando a raccogliere la sfida. «Sono sempre di più – dice Danovaro – quelle interessate a mettere in commercio prodotti reef safe o eco-friendly e ad allinearsi con il bando di filtri UV, considerato anche il crescente interesse dei consumatori verso le tematiche ambientali. Ma bisogna stare attenti alle strategie di greenwashing sempre in agguato. Insomma, finché non si sarà consolidata la consapevolezza (e in questo il ruolo della ricerca scientifica è fondamentale) che sviluppare prodotti sostenibili non è solo questione di marketing ma di tutela dei nostri mari, del nostro Pianeta e della nostra salute, l’azione più incisiva rimane sempre quella del consumatore che, acquistando il prodotto giusto, esercita una vera scelta politica».
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