«Sui porti decidiamo anche noi». Due giorni fa si è alzata una voce dal ministero delle infrastrutture, a fare da argine al protagonismo del ministro dell’interno Salvini sui migranti. Il moto di stizza tradisce più debolezza che orgoglio, rivela gli affanni del M5S nella «leale competizione interna» (la definizione viene dai grillini stessi) che dalla firma del contratto di governo è stata ingaggiata coi leghisti. E fa trasparire che è il ministro in questione, Danilo Toninelli, il punto di caduta di molte delle difficoltà di questo primo mese di governo Conte, sponda pentastellata.

«Tra me e lui c’è assoluta sintonia», dice sornione Salvini per sottolineare l’identità di vedute con il M5S. Il messaggio è: «Tutto fila liscio». Almeno con la componente maggioritaria e governista dei grillini, che vede in questi giorni proprio nel ministro delle infrastrutture uno dei suoi anelli deboli e maggiormente sottoposti al forcing politico degli alleati di governo. Toninelli ha competenza sui porti e sulla guardia costiera ma insegue Salvini su migranti, guerra alle Ong e salvataggi in mare. Prima di far notare le sue prerogative, tuttavia, il ministro precisa di condividere la linea del Viminale sui migranti. Ma la sua replica agisce su due livelli. Da una parte, c’è appunto il leader leghista che da Pontida garantisce la chiusura degli attracchi. Una minaccia che arriva all’indomani della visita di Roberto Fico a Pozzallo e delle dichiarazioni del presidente della camera in dissenso con la linea giallo-verde.

Fico da sabato tace. Ma aveva parlato della necessità di ribadire i valori fondanti del M5S, sottendendo che il nuovo corso sta tradendo i principi ispiratori. Se n’è accorto Beppe Grillo, di questo conflitto latente che potrebbe degenerare. Ecco perché la scorsa settimana a Roma ha incontrato sia Fico che Di Maio. La linea che giustifica tutto in nome del braccio di ferro con l’Europa tiene, nonostante le immagini shock dei morti in mare e il protagonismo della Lega. Ma il gioco al rialzo di Salvini colonizza le pulsioni grilline e appanna il volto moderato di Di Maio e dei suoi. Tra i quali c’è, appunto, Toninelli, che è diventato ministro soppiantando all’ultimo momento il tecnico d’area, ed esperto di tutela del territorio, Mauro Coltorti. Troppo delicato, l’avamposto che si occupa di grandi opere, per lasciarlo a un non politico.

A proposito di grandi opere e principi fondanti, oggi la sindaca di Torino Chiara Appendino presenterà al Coni il pre-dossier sui giochi olimpici invernali del 2026. Ieri se n’è discusso in consiglio comunale e le voci critiche interne alla maggioranza 5S, nonostante l’intervento diretto del capo politico Di Maio, non sono mancate. «Mi auguro che i nostri paletti inducano Coni e Cio a non sceglierci», dice ad esempio la consigliera M5S Maura Paoli. In Sala Rossa Paoli esclama: «Questa avventura olimpica è imbarazzante per come è stata gestita con l’affidamento diretto della realizzazione del pre dossier», con riferimento all’incarico all’architetto Alberto Sasso, indicato (pare) da Grillo in persona. Nel progetto, tra le altre cose, è previsto che il villaggio degli atleti venga costruito nell’ex stabilimento Thyssen, dove undici anni fa morirono tra le fiamme sette operai. «Dopo diventerà un centro internazionale per la sicurezza sul lavoro», promette Appendino. Che usa toni concilianti e inediti per un amministratore pentastellato e fa appello all’«unità di intenti» tra maggioranza e opposizioni. «Sarà una kermesse sfavillante, all’insegna di riqualificazione e riutilizzo», ha detto Toninelli delle olimpiadi torinesi qualche giorno fa, cercando di indorare la pillola. Intanto, i No Tav lo aspettano al varco sulla Torino-Lione.