Tomás González, l’imperfezione del dolore
Scaffale «La luce difficile» per La Nuova Frontiera: tradotto per la prima volta il romanzo dello scrittore di Medellín
Scaffale «La luce difficile» per La Nuova Frontiera: tradotto per la prima volta il romanzo dello scrittore di Medellín
Sostiene Gérard Genette che una delle funzioni della narrazione letteraria è quella «di far fruttare il tempo in un altro tempo». Una curiosa variazione sul tema della dualità temporale la offre adesso Tomás González con il romanzo La luce difficile, apparso la prima volta in Colombia nel 2011, da poco ripubblicato in Spagna e appena proposto in Italia da La Nuova Frontiera nella traduzione di Lorenzo Ribaldi (pp. 144, euro 17,00). L’alternanza e la sovrapposizione di due momenti narrativi – l’attesa, a New York, della morte del figlio Jacobo e il successivo ritorno di David, il protagonista, in Colombia – fa della caratteristica individuata dal teorico francese la metafora, nel romanzo, del processo di acquisizione di un punto di vista autoriale, vale a dire trasformativo, sul mondo. Esso scaturisce dalla sensibilità artistica di David, che è intesa nel romanzo come il grimaldello per l’accesso alla comprensione del dolore attraverso l’elaborazione di una fenomenologia del legame tra ciò che il personaggio è stato chiamato a vivere e il modo, imperfetto, in cui cerca a poco a poco di farsene carico per non esserne sopraffatto con il passare degli anni.
È QUESTO IL TEMPO in un altro tempo che si attraversa leggendo le pagine del libro: pur conducendo una vita piuttosto convenzionale – una scelta, nella caratterizzazione del personaggio-artista, che allontana quest’ultimo da inveterati stereotipi -, David ha imparato ad affrontare la vita dopo l’incidente del figlio con lo stesso sguardo intimo e distante con cui lavora ai suoi quadri, ritocco dopo ritocco, con tenacia.
Siamo negli anni Novanta. David vive in un appartamento in affitto nel Lower East Side con la moglie Sara e i tre figli Jacobo, Pablo e Arturo; sono partiti dalla Colombia nel 1983, quando i ragazzi erano ancora piccoli, per trasferirsi prima a Miami poi a New York, dove i figli studiano, Sara si occupa di un programma di prevenzione contro l’Aids e David dipinge. Un giorno qualunque, perché le disgrazie non danno segnali di preavviso né annunciano il loro arrivo davanti alla porta di casa, il taxi su cui viaggia Jacobo, il maggiore dei tre, viene urtato violentemente da un furgone guidato da un tossico ubriaco. Paralizzato dalla vita in giù, afflitto da insopportabili dolori che nessuna terapia riesce a lenire, Jacobo decide, dopo lunghi patimenti, di ricorrere alla morte medicalmente assistita. Il fratello Pablo lo accompagna a Portland, in Oregon, dove si trova la clinica, mentre David, Sara e Arturo, rimasti a casa, aspettano il decesso programmato sostenuti dall’affetto degli amici: «sembravamo rinchiusi per l’eternità in una casa in fiamme».
L’APPARTAMENTO newyorkese di Sara e di David, dove il tempo si dilata e i personaggi condividono la comune esperienza della perdita consumati dal senso di colpa per il sentimento di afflizione e di sollievo che provano simultaneamente, è il nucleo da cui si dirama una narrazione che procede per ricordi. David, protagonista e voce narrante del romanzo, è il centro di coscienza su cui si incardina la temporalità interna del racconto, organizzata secondo un sistema a doppia mandata. Le sue parole ci arrivano da un ulteriore piano temporale, che amplia il disegno narrativo dell’opera espandendone le coordinate: sono passati circa vent’anni, David è tornato in Colombia e ora si dedica alla scrittura anche se, gradualmente, sta perdendo la vista.
Tomás González, originario di Medellín, è uno scrittore di lungo corso, a suo agio tanto nella forma romanzo quanto nella poesia e nel racconto. La luce difficile muove dall’idea di fare della memoria un esercizio della finzione per osservare da vicino il dolore quando esso è così grande e persistente da insidiare la tenuta del soggetto. Chiamato a rendere conto dei propri limiti di fronte alla tragedia della sofferenza del figlio, David sviluppa gradualmente la propria strategia di difesa contro il disgregamento.
Il percorso che lo porta ad acquisire uno sguardo sul mondo depurato dalle ombre si traduce, sul piano formale dell’opera, nella presenza di salti temporali che spesso non coincidono con le parti che compongono il libro. La suddivisione in capitoli brevi, infatti, segue solo parzialmente l’evoluzione del racconto, che si attiene invece al mutevole andamento della memoria alla ricerca della peculiare lucentezza custodita nel precipitato della sofferenza.
LA PITTURA non sembra rendere con efficacia la complessa instabilità di un mondo che, dentro e fuori di lui, ha perso la propria integrità strutturale, compromessa dall’inestinguibile fuoco della disperazione (la parola «fiamme» ricorre spesso), eppure David continua a ritoccare il quadro a cui sta lavorando, cerca «la luce che contiene l’oscurità, la morte, ed è allo stesso tempo contenuta da esse». Verrebbe da dire che la cecità cui è condannato sia l’effetto di un’usura per intensità: il suo sguardo è attento all’incessante metamorfosi della luce e agli effetti che essa produce sull’esistente, sulle piante per esempio, che riconosce, sa nominare e ama tenere dentro casa, disponendole secondo il tipo di esposizione che ciascuna richiede. Con la stessa disposizione, egli osserva le conseguenze della protratta esposizione degli altri e di sé al dolore, provando a descriverne il particolare processo di fotosintesi: «Questa lunga sofferenza, la sua, la mia, quella di tutti, ha finito per spazzare via i peggiori cumuli di ragnatele brumose e mi ha lasciato praticamente ripulito di ogni tristezza arbitraria».
Non si tratta di un avvento o di un’illuminazione, bensì di una graduale conquista, un’indagine poetica dei giorni e dell’esistenza intera, una «lotta con lo sguardo, con le porte della percezione che si rifiutano di aprirsi»: il riferimento è a William Blake, presente anche in esergo. Tomás González si appropria delle parole del poeta inglese e ne riarticola l’uso all’interno della narrazione, concedendo ai lettori la possibilità di trovarvi una corrispondenza con il lascito dei formalisti russi, pur senza ricorrere a richiami diretti.
LA LOTTA CHE INGAGGIA David ha a che fare con l’esperienza preliminare o anteriore delle cose, quel «prima» che l’arte e la letteratura comportano, durante il quale è necessario prestare attenzione al mondo – perché «il valore poetico di un oggetto è il risultato della maniera in cui lo percepiamo», afferma Viktor Šklovskij – al fine non tanto di riconoscerlo, quanto, piuttosto, di ricomporlo in una nuova visione da immettere successivamente altrove.
Un quadro, un romanzo, il modo di amare, di rispettare le scelte altrui e di affrontare le proprie, così come il rifiuto dell’uso delle frasi fatte e degli automatismi che bloccano il pensiero nei luoghi comuni – «Per fortuna nessuno disse che la morte era stata la cosa migliore per lui» -, concernono una presa di posizione etica, oltre che poetica. La luce difficile rifulge nella consapevolezza che lo sforzo per la riconfigurazione dell’esistente e di ciò che lo riguarda, compresa la morte, è una declinazione radicale della perseveranza e della compassione.
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