Toluò, un’alba per le artigiane
Reportage Le cooperative come strumento per affronatre crisi e discriminazione delle donne in Iran
Reportage Le cooperative come strumento per affronatre crisi e discriminazione delle donne in Iran
L’obbligo di indossare lo Hijab in Iran, potrebbe essere l’esempio lampante della vasta e sistematica discriminazione quotidiana che devono affrontare le donne iraniane; tuttavia, la situazione di ineguaglianza nel paese si estende ben oltre tale imposizione. Le donne persiane si trovano di fronte ad una situazione ben più complessa. È ormai un dato di fatto che esse abbiano a che fare quotidianamente con drammatiche tendenze che colpiscono gravemente la loro capacità di resistere alla pesante discriminazione sessuale. Come molti attivisti hanno sottolineato più volte, l’ impoverimento delle donne in Iran si trova oggigiorni in una fase allarmante: certo è la situazione non è così diversa rispetto al resto del mondo, ma in Iran il tutto viene esacerbato in maniera massiccia dalla persistenza della Repubblica islamica in materia di politiche di segregazione sessuale, oltre ad un sua incompetenza nel sostegno sociale. Nonostante ciò, il desiderio per molte donne iraniane di migliorare la proprie condizioni sociali, ha creato una situazione molto controversa. Mentre le iraniane costituiscono la maggioranza della popolazione istruita totale, esse soffrono il più alto tasso di disoccupazione nella società. Secondo relazioni internazionali e nazionali, come quella dell’ ILO 1 (International Labour Organization) e del Centro Statistico Iraniano2, il rapporto della partecipazione femminile al mercato del lavoro in Iran è solo del 13,1 %: meno della metà rispetto a quello del sesso opposto; tuttavia le donne iraniane superano i loro coetanei maschi nel rendimento scolastico e nelle iscrizioni all’università. Inoltre, anche se è stata ampiamente trascurata ed in parte osteggiata dallo Stato, vi è tra le donne una grande richiesta d’inclusione sociale, che si proietta nel loro coinvolgimento attivo in ogni possibile arena.
Indipendentemente dalle persuasioni e dalle affiliazioni dei diversi governi iraniani degli ultimi quattro decenni, l’inserimento delle donne sul posto di lavoro è rimasto una questione di minore importanza, se non un elemento sociale direttamente scoraggiato. Inoltre, nonostante le promesse, alcuni dei governi moderati e riformisti susseguitisi negli anni, non sono riusciti a raggiungere le percentuali di occupazione femminile dell’epoca pre-rivoluzionaria. Nei primi anni dopo la rivoluzione del 1978, un vasto numero di donne vennero difatti licenziate in massa, per lo più a causa della loro opposizione al hijab obbligatorio o le loro proteste contro le norme repressive imminenti.
La segregazione sessuale sul posto di lavoro e nella società prende ufficialmente corpo dal codice civile iraniano, che si basa sulla Sharia: esempio lampante è il riconoscimento dell’uomo come capo famiglia, oltre che diretto responsabile “del sostentamento della donna”. 3 Così, talune indennità riconosciute, come ad esempio l’assegno familiare, sono applicabili solo ai dipendenti di sesso maschile. Inoltre, la propaganda di stato cerca sempre di promuovere la percezione che il lavoro delle donne non sia necessario per il mantenimento della famiglia: il ruolo più importante affidato al sesso femminile “la protezione” del nucleo familiare. Tuttavia tali messaggi, seppur largamente diffusi nel panorama nazionale, svaniscono di fronte alla realtà di una società in cui l’alto tasso di inflazione, aggravato dalle sanzioni estere, colpisce prevalentemente le classi disagiate. Difatti, In tali condizioni, la sopravvivenza dell’intera famiglia risulta difficile se non impossibile; sono molte le donne che si mettono dunque alla ricerca di un lavoro, anche se sottopagato. Non sorprendono quindi i dati che dimostrano quanto la percentuale d’economia sommersa in Iran sia cresciuta a dismisura negli ultimi anni: secondo alcune valutazioni, questa rappresenta un numero compreso tra l’ 8 ed il 36 % del Pil totale misurato ufficialmente4. Considerando il fatto che solo
il 7 % della forza lavoro del paese è coperto da contratto ufficiale, si può facilmente immaginare come le lavoratrici più vulnerabili siano le donne.
Circa il 50 % delle donne iraniane non hanno altra scelta che accettare modalità di lavoro informali che limitano il loro accesso alle politiche di welfare e protezione sociale, come le pensioni e le indennità di disoccupazione.
E ‘in una condizione così dura che il numero di donne che vorrebbero avviare una propria attività si intensifica quotidianamente. Tra queste, ci sono soprattutto quelle determinate a mettere in discussione la discriminazione dominante, fondando propri luoghi di lavoro esclusivamente femminili, basati su principi democratici e di partecipazione diretta ed attiva delle lavoratrici all’andamento dell’impresa stessa. Questa tendenza crescente è incarnata nelle cooperative indipendenti che funzionano in base a principi d’organizzazione e di gestione prettamente orizzontali. In queste piccole imprese, nessuno è il capo e tutti guadagnano in base al loro contributo personale: parte delle entrate è donata per coprire le spese di gestione della cooperativa, il resto è distribuito uniformemente tra le lavoratrici.
Ci sono numerose esperienze del genere in tutto l’Iran, sia nelle grandi città che nei piccoli borghi, spesso create da rapporti stretti d’amicizia, parentela o altri legami sociali tra le lavoratrici, guidate da una forte volontà di cambiamento delle condizioni di vita odierne. La maggior parte di esse trovano notevoli difficoltà a far quadrare i conti, altre invece, sono riuscite ad offrire notevoli possibilità ai propri membri, senza le quali la loro vita sarebbe anche solamente difficile da immaginare. Isfahan, una delle più grandi città in Iran, situata nel centro del paese e rinomata per la sua storia e le ricchissime tradizioni artistiche, è il posto giusto per incontrare queste donne.
La piazza principale che ospita i più importanti edifici di architettura del mondo islamico, è circondata da un antico ed ammaliante Bazar, tra i più immensi del paese. I negozi sono pieni d’opere d’arte raffinata, nei quali l’azzurro predomina la scena. Molti dei negozianti nel mostrare i propri prodotti artigianali, tendono a spiegare la raffinatezza di essi con il fatto che derivano dal lavoro esclusivo delle donne. Un’idea che parte dal presupposto che solo l’attenta meticolosità femminile possa generare un’estetica di forme così sottili e sofisticate. A soli pochi metri di distanza dalle vie principali del Bazar centrale, in vicoli labirintici, si trovano numerosi laboratori sparsi nell’ombra e nel silenzio, lontano dagli occhi di chi attraversa le vie più tracciate; questi spazi, senza alcuna pretesa, alimentano il cosiddetto “mercato artigianale di massa”. Le loro ampie vetrate invitano i pochi passanti a guardarvici dentro, dove circa 10 donne sedute intorno a grandi tavoli pongono piccole maioliche turchesi su vasi di rame, martellano modelli delicatissimi su contenitori d’argento lucidato e decorano a smalto sottili lastre di metallo.
E’ in uno di questi stessi laboratori che lavora Azin, un artista di 29 anni che ha deciso di non vendere direttamente la sua maestria a un negoziante o un grossista. Lei e altre sette donne hanno deciso di gestire autonomamente ed in cooperazione il proprio lavoro, lasciando perdere la ricerca in vano di un posto di un lavoro sicuro in tale maestranza. Così è nata la loro cooperativa, Toluo’ (Alba).
“Tutto è iniziato due anni fa”, afferma Azin, “io ed altre tre ragazze abbiamo deciso di acquistare con le proprie esigue finanze la materia prima ed iniziare il lavoro autonomamente, senza mediatori o capi”.
Poco dopo la sua nascita, i risultati promettenti dovuti al duro lavoro quotidiano, hanno portato ad una reale esperienza organizzata di autogestione. Tutti i membri hanno tra i 25 ei 30 anni e sono in possesso di un master o di una laurea legata al mondo dell’arte. Azin stessa è laureata all’ Università d’Arte di Shahrekord ed è stata vincitrice di una Olimpiade Nazionale Dell’arte nel 2015. I loro prodotti rientrano tra le opere artigianali più famose dell’Iran; Mina, versione femminilizzata di Minoo, che in persiano significa cielo, così viene denominata l’arte della pittura e della decorazione del metallo e delle piastrelle con motivi intricati e modelli di tonalità che ricordano l’azzurro del cielo. Sono tutte sedute spalla a spalla nel loro piccolo laboratorio ed abilmente dipingono giardini immaginari con fiori in miniatura mentre ascoltano una musica rilassante.
“Non è solo un lavoro per noi. Questo è un luogo in cui recuperiamo la convinzione su noi stesse, discutiamo insieme i nostri problemi ed abbiamo creato un piccolo gruppo di solidarietà “, dice Azin mentre posa con attenzione sul tavolo il piatto nel quale ha appena finito l’opera di smaltatura. “Eravamo stanche di essere sfruttate dai proprietari di negozi e grossisti, quando tentavamo di lavorare. Ora lavoriamo per noi stesse ed ogni artista Mina che si sente al nostro stesso modo è la benvenuta”, spiegano le altre ragazze.
Questo è probabilmente l’unico posto nel quale una sorta di segregazione intenzionale, potrebbe risultare utile per loro. “Abbiamo voluto creare una cooperativa di sole donne, recuperando la natura stessa dell’arte, puramente femminile.”
Azin inoltre sottolinea che il rapporto tra i membri della cooperative è notevolmente diverso rispetto ai luoghi di lavoro nei quali ci si concentra esclusivamente sulle abilità nel lavorare più ore e produrre di più. Così continua, “La maggior parte di noi ha pagato una sorta di prezzo sociale nell’essere indipendente, prendendosi direttamente la responsabilità delle proprie vite in un contesto molto difficile. Abbiamo più o meno gli stessi problemi e gli stessi obiettivi. Quindi andiamo d’accordo abbastanza facilmente”.
Tutte le altre sembrano essere d’accordo con lei e l’atmosfera accogliente e pacata della stanza lo dimostra perfettamente. Tradizionalmente gli uomini hanno sempre avuto il controllo di questo mercato, possiedono i negozi, i laboratori ed anche il prodotto finale. Ancora oggi il modo in cui cercano di ridurre il prezzo eliminando la creatività personale e così abbassando la qualità del prodotto, infastidisce Azin e le sue amiche. “Molti dei commercianti e dei proprietari di negozi sono quelli in contatto diretto con i clienti, dettano le mode ed i gusti. Sono uomini d’affari dopo tutto, non artisti”, ricorda Azin mentre indica i modelli Mina disegnati magistralmente dalla sua amica sta lavorando, cercando di mostrarci la differenza con i prodotti ordinari che si possono trovare nella maggior parte dei negozi di souvenir. Dopo aver raggiunto un certo livello di sostenibilità, intendono contribuire con la loro parte nello sviluppo di questa preziosa arte: “Per noi, la produzione Mina non è un semplice lavoro, ma rappresenta un modo di esprimerci liberamente nel mondo dell’arte”, aggiunge Azin, guardando le altre ragazze lavorare.
Ciò nonostante, mantenere una cooperativa e tenerla lontana dai rapporti di sfruttamento prevalenti nel mercato del lavoro, in particolare in una regressione economica così prolungata, può essere troppo impegnativo. “Siamo in un momento cruciale oggi, nel quale dobbiamo tagliare le nostre spese e risparmiare denaro, perciò abbiamo condiviso il nostro spazio di lavoro con un altro imprenditore. I risparmi saranno spesi per affittare un posto adeguato in cui possiamo aprire il nostro negozio e un laboratorio ad esso annesso. Questo necessita sicuramente d’un gran dispendio di tempo ed energie, ma sarà un importante passo avanti quando lo realizzeremo. Guardando al domani con ottimismo, saremo anche in grado di supportare alcuni giovani talenti”, conclude la ragazza.
Alcuni di questi obiettivi sono già stati realizzati da un’altra cooperativa più anziana rispetto a Toluo’ che Azin ben conosce. Spesso, durante le sue passeggiate in centro, vi si ferma anche solo per un breve saluto. Il loro negozio è situato in uno degli ingressi del vecchio bazar, a pochi metri di distanza dall’immensa piazza Naqsh-e jahān (Immagine del mondo), conosciuta anche come Piazza dello Shah e recentemente Piazza dell’Imam. Tale cooperativa femminile, denominata Niloufar-Abi (Giglio Azzurro), non solo ha mantenuto un reddito stabile, ma ha anche creato i propri prodotti con motivi geometrici innovativi e nuove miscele di colori. Queste innovazioni hanno riscosso un gran successo e sono state registrate ufficialmente sotto il nome della cooperativa.
Ogni sera Azin rientra verso casa costeggiando le rive del fiume che bagna Esfahan, così che ella si regala spesso pochi minuti per sé soffermandosi tra gli archi dell’antico Pol-e-Khāju (ponte Khaju) per godere delle melodie popolari cantate dalle persone che tradizionalmente si riuniscono in questo ambiente fiabesco. L’atmosfera che qui si respira è unica, difficile da incontrare altrove. C’è un ordine rispettoso tra gli avventori che non si sono mai incontrati prima. Aspettano il loro turno, nessuno parla e talvolta, prontamente, gli ascoltatori incoraggiano i cantanti accompagnandoli nella melodia o riempiendoli di applausi. L’unica cosa che interrompe questi arrangiamenti spontanei è la comparsa di un ufficiale di polizia, accompagnato da due soldati in servizio. La gente si disperde in modo casuale seguendo direzioni differenti e pochi minuti dopo, un’altra voce che canta arriva da un angolo differente. Questo accade ogni 5-10 minuti, ogni notte. Isfahan non è solamente luogo di belle arti elitarie dallo stile antico, i suoi cittadini producono arte in ogni possibile maniera.
L’ esperienza cooperativa ha tuttavia solleticato l’idea ambiziosa di Azin di tornare alla sua prima passione, la progettazione di tappeti. La ragazza ventinovenne trascorre infatti il resto della giornata nella sua piccola camera che funge da secondo laboratorio di idee. Vive con sua madre e sua sorella. Amir, il fratello maggiore è il suo sostenitore più ardente, spesso la viene a visitare o la accompagna nelle sue passeggiate giornaliere.
“Penso che stanno portando qualcosa che manca davvero al mercato artigianale dei giorni nostri. Opere d’arte autentiche provenienti dall’ aspirazione e dalla creatività di chi le pensa, non solo dal bisogno materiale del venderle”, dice sorridendo alla sorella, mentre versa del tè alla cannella fragrante nel suo bicchiere.
In aggiunta a questa Famiglia spensierata, con un senso inesauribile di umorismo, Ameneh, una ragazza di Shiraz con orgini Qashqai (popolazione di lingua Turchica dell’ Iran), visita regolarmente la casa. Un’amica universitaria di vecchia data di Azin, principale partner in un progetto imminente sul quale le due stanno lavorando da tempo, legato alla produzione di tappeti. Ameneh deve rimanere più di un paio di volte alla settimana in modo che insieme all’amica, possano lavorare al loro progetto e produrre, sino a notte inoltrata, alcuni campioni da poter diffondere. Ameneh condivide con Azin una simile opinione su come dovrebbe lavorare un’azienda che si occupa di arte:
“Sono giunta alla consapevolezza che lo sfruttamento possa portare ad un’industria proficua per pochi; ciò rovina l’arte e distrugge la vita delle lavoratrici. Quindi mi è difficile spiegare quale cosa sia più importante, essere creativi o lavorare sotto circostanze giuste. La fabbricazione artigianale, non può svilupparsi in condizioni di crudeltà.”
Azin ed Ameneh sono costrette a sondare il mercato ed informarsi sui prezzi della lana, della seta ed anche di altre materie prime. I loro risparmi, oltre ad un fondo parziale concesso da Amir, il fratello maggiore, copriranno le spese di bilancio inizialmente necessarie. Sembra una responsabilità corposa da prendersi, ma le due ragazze sono molto determinate. Azin ripensa spesso al suo passato, nonostante la sua nuova avventura; così racconta con veemenza : “E’ sempre stato impossibile per me mantenere un posto di lavoro. Non riuscivo a mantenere i rapporti meccanici della produzione, così saltavo da una lavoro ad un altro molto spesso. Ora ho recuperato la mia passione, e desidero utilizzare la mia esperienza nella cooperativa per poter fondare questo nuovo laboratorio di tessitura di tappeti”.
La sua camera è piccola ma è piena di colore; ovunque vi sono pennelli, righelli, bobine di carta e bozze di disegno. Ogni tanto, con modesta lentezza, tira fuori dalle scatole e dai cassetti le sue opere, ostrandole agli ospiti. Gli scenari di letteratura classica persiana in stile Khajar , dipinti meticolosamente, sono lo specchio della pazienza e dell’assidua laboriosità dell’opera artistica di Azin. Nello scorrere di ogni dipinto, Amir, Ameneh e Azin entrano in un’appassionata conversazione sulla storia e la mitologia delle scene rappresentate.
“Questi artefatti, comprendono una parte importante della nostra cultura visiva che Azin sta cercando di recuperare, ovunque essa ti conduca, entrando vivamente nella costruzione e valorizzazione di quest’antica tradizione”, sottolinea il fratello mentre aiuta la ragazza a mettere i dipinti nelle varie scatole.
Azin srotola anche alcuni dei modelli di tappeti ai quali sta lavorando; la miriade di colori sovrapposta sulla tela in forme molto dettagliate è mozzafiato. Si tratta di una primissima produzione per una cooperativa in procinto di nascere, nella quale gli unici membri saranno donne provenienti da ambienti rurali, coloro che lavorano nelle circostanze più difficili.
Nessuna delle loro attività è valutata come un vero e proprio lavoro ufficiale oggigiorno. Prima dell’introduzione dei tappeti artigianali nel mercato globale, i tessitori di tappeti lavoravano il più delle volte gratuitamente, producendo materiale per uso personale. Basandosi sulla loro immaginazione, improvvisavano disegni mozzafiato. Ciò era possibile dal momento in cui le dita potevano muoversi tra i colori liberamente, senza essere inseguite da scadenze dettate dalle copiose richieste del mercato. Ora, la maggior parte dei commercianti di tappeti tendono ad assumere tali tessitrici rurali per il basso costo della manodopera. Il risultato ovviamente è più scadente rispetto a quello del passato, proprio perché tale attività è evoluta in una monotona routine per le tessitrici. Non vi è alcuna motivazione nel lavoro, se non quella del poco guadagno per la sopravvivenza materiale. Dal momento che i pagamenti sono anche ingiusti e dato che le casalinghe sono principalmente occupate dal loro lavoro domestico già sin troppo oneroso, l’arte della tessitura rurale sta andando lentamente a scomparire.
Quando si tratta di tappeti, Ameneh, Azin ed anche Amir le argomentazioni sono affrontate con particolare zelo, e le loro parole sono caricato di diverse emozioni.
“A quanto pare, gli intermediari non sembrano interessarsi del fatto che l’arte del fare i tappeti sia in cosante declino, in quanto la forza lavoro a buon mercato rende redditizio il commercio in qualsiasi modo”, afferma Azin guardando la sua amica.
La ragazza ventinovenne ha intenzione di recarsi il giorno seguente in uno dei villaggi intorno ad a Isfahan; vorrebbe incontrare alcuni dei potenziali soggetti inclusi nel suo progetto. Il fatto che domani sia festa nazionale, l’anniversario della rivoluzione del 1979, non modifica i suoi piani.
“So per certo che parlerò con loro mentre saranno all’opera. Si può a malapena trovare il tempo di guardare il calendario, se si deve lavorare costantemente. ”
1 Pubblicato nel Marzo del 2016.
2 Pubblicato nell’Ottobre del 2016 su www.amar.org.ir.
3 Articolo 1106 del Codice Civile Iraniano, pubblicato nel sito del Ministero degli Affari Esteri, mfa.ir.
4 Pubblicato nel giugno 2016 dall’ufficio degli affari delle donne e della famiglia, http://women.gov.ir/
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