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Toghe in politica, la svolta non c’è

Toghe in politica, la svolta non c’è

Giustizia Con i soli voti del Pd, la camera approva un testo più debole di quello votato tre anni fa dal senato. Dove adesso dovrà tornare, con la prospettiva di finire impantanata. Ridotti i limiti ai magistrati che vogliono tornare in servizio dopo il mandato elettivo, anche il Csm aveva proposto regole più stringenti

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 31 marzo 2017

L’elenco dei magistrati italiani in aspettativa per incarichi elettivi non è mai stato così stringato. In questo momento sono solo nove (escludendo la quota fissa dei 16 rappresentanti al Csm), i loro nomi sono da qualche giorno sul sito del Csm. Dei nove, tre sono senatori: Felice Casson, Doris Lo Moro e la terza, Anna Finocchiaro, è anche ministra. Due sono deputati: Donatella Ferranti e Stefano Dambruoso. Due sono al governo come sottosegretari, Cosimo Ferri e Domenico Manzione. Una, Caterina Chinnici, è al parlamento europeo. Uno è presidente di regione, ed è Michele Emiliano. Tutto qui. E proprio adesso il parlamento italiano non è mai stato così vicino all’approvazione di una legge per regolare, e limitare, il ritorno delle toghe in magistratura al termine del mandato politico. Una legge invocata da sessanta anni.
Ieri la camera ha approvato un testo già votato dal senato e rimasto fermo ben tre anni. Come si spiega questa che può sembrare una svolta, dopo tanto tempo? Con il fatto che la legge è stata annacquata, ridimensionata nei punti chiave. E con il fatto che il passo in avanti della camera è un’illusione ottica. Al senato la legge è destinata a impantanarsi.

LA CAMERA ha approvato con una maggioranza molto bassa, appena 211 sì, un terzo dei deputati. La legge è passata praticamente con i soli voti del Pd, un Pd peraltro assente per quasi la metà dei componenti. Se tutti i gruppi che hanno dichiarato la contrarietà alla legge avessero votato di conseguenza avrebbero potuto fermarla, senza problemi. Ma non hanno votato, contando sul fatto che il passaggio al senato – dove i numeri sono meno favorevoli alla maggioranza – rimetterà tutto in discussione.
L’unico emendamento che ieri mattina ha ricevuto un sostegno convinto dell’aula, circa il doppio dei voti che ha avuto l’intera legge, è un emendamento proposto dalla commissione per venire incontro a una vecchia richiesta del Pd Giachetti. È stata prevista la pubblicazione sul sito internet del governo dell’elenco di tutti i magistrati in aspettativa, non solo quelli per incarico elettivo ma anche quelli che sono collocati presso organi costituzionali o altri uffici ed enti. Ed è stato previsto per questo uno stanziamento di 20mila euro. L’elenco è però da qualche giorno – finalmente – disponibile sul sito del Csm e senza altre spese. Le toghe in aspettativa risultano più di duecento.

QUESTA LEGGE è stata proposta all’inizio della legislatura da senatori di diversi partiti, di maggioranza e opposizione. Nel 2015 il Csm ha tirato le fila di un vecchio dibattito nella magistratura, proponendo al parlamento una serie di regole stringenti sul ricollocamento in servizio dei magistrati «prestati» alla politica. Le proposte venute dall’autogoverno della magistratura erano più rigorose di quelle approvate ieri dai deputati. Si immaginava la fine della carriera in toga.
La legge approvata ieri ha cambiato anche il nome rispetto al testo approvato al senato. È scomparso dal titolo il riferimento alla ricusazione, perché la camera ha fatto cadere l’obbligo per il magistrato schierato politicamente di astenersi nel caso di un giudizio in cui venga coinvolta una controparte politica. Evidente il collegamento con la vicenda Minzolini, anche se il senatore di Forza Italia aveva evitato di ricusare il giudice Sinisi, ex sottosegretario del centrosinistra, per sollevare il caso in aula nel dibattito sulla decadenza conseguente alla condanna.

CON LE NUOVE NORME un magistrato non potrà candidarsi nel territorio dove ha esercitato negli ultimi 5 anni, e per farlo dovrà essere in aspettativa da 6 mesi o in pensione da due anni – non sarebbe più possibile un caso come quello dell’ex procuratore capo di Taranto che a giugno correrà come sindaco (per pochi mesi, Sebastio è in pensione da un anno e mezzo). Rispetto al senato, il Pd ha attenuato il testo soprattutto per quello che riguarda il ritorno nei ranghi della magistratura. Se prima il magistrato eletto o candidato poteva tornare a esercitare solo in un distretto diverso da quello dove si era candidato e da quello in cui era stato eletto, restando lontano per 5 anni dagli incarichi direttivi e di giudice monocratico, adesso l’attesa sarà di tre anni, dopo di che si potrà tornare anche laddove eletti. Non solo, per la camera i magistrati in possesso dei requisiti potranno essere collocati dal Csm anche in Cassazione. Il requisito è l’anzianità, ed è stato bocciato l’emendamento dei 5 Stelle che puntava a fermarla durante gli anni di mandato politico (tanto che i grillini pensano a una norma pro-Finocchiaro, che è in parlamento da 30 anni e ha i titoli per la Cassazione; la ministra ha dichiarato che non tornerà in ogni caso a indossare la toga).
La camera ha annacquato anche la norma sui magistrati candidati e non eletti: potranno tornare dopo due anni (il senato aveva detto 5) anche nel proprio territorio, a patto di fare i giudici e non i pm (il senato aveva escluso del tutto la possibilità di ritorno «a casa»). Nessun limiti adesso per i candidati non eletti negli enti locali, se non quello di stare lontani due anni. Poi potranno assumere anche incarichi direttivi e non collegiali. Nessun limite e basta per le alte magistrature, Cassazione, Consiglio di stato, e Corte dei Conti: dopo il mandato politico torneranno al loro posto.

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