Cultura

Todd Gitlin, il tempo presente è sempre politico

Todd Gitlin, il tempo presente è sempre politicoTodd Gitlin / foto Ap

RITRATTI Addio al sociologo e attivista americano, aveva 79 anni. Autore di sedici libri di saggistica, poesie e romanzi, il suo ultimo volume uscirà postumo in primavera

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 9 febbraio 2022

Quando chiamavi Todd Gitlin – la voce limpida dell’altra parte del telefono, allegra, quasi energizzata dal «pensare» – era come se gli avessi parlato il giorno prima. Anche se erano passati anni. Perché la sua riflessione sulla Sinistra – animata dalla passione di attivista sbocciato nelle battaglie studentesche dei Sixties, e da un intelletto brillante e curioso – scorreva, evolvendosi, come un fluido naturale e continuo. Gitlin – mancato sabato a Pittsfield, in Massachusetts, a settantanove anni – non era uno da chiamare quando sapevi cosa volevi sentirti dire, o ti immaginavi già la citazione che serviva a «far tornare» il pezzo.

ERA SEMPRE un po’ più avanti di te, e ti invitava allo scambio – un’apertura la sua che combinava l’esperienza strategico-organizzativa, «di prima mano», all’interno del Movimento, allo studio continuo della cultura e della società americane, che ha insegnato a Berkeley, alla New York University e negli ultimi anni alla Columbia, dove recentemente dirigeva i corsi di dottorato di giornalismo. L’ultima volta che lo abbiamo sentito, nell’ottobre del 2011, era appena tornato da Zuccotti Park, dove aveva trascorso alcuni giorni durante la prima settimana di occupazione. «Uno dei loro successi, di cui non si parla molto, è il rapporto con l’esterno: sono molto ospitali, dialettici – con passanti, curiosi, turisti. Hanno costruito una relazione positiva con i residenti. Una grossissima fetta dell’opinione pubblica è con loro, quindi la stampa li ha adottati. E nel giro di un mese abbiamo assistito a una versione compressa dell’evoluzione dell’atteggiamento dei media verificatasi, negli anni Sessanta, nei confronti del movimento per la pace», aveva detto dei manifestanti che, in un Op Ed del «New York Times» aveva definito «più Rousseau che Marx». Nel giro di pochi mesi, da quelle visite avrebbe tratto un libro, Occupy Nation: The Roots, the Spirit and the Promise of Occupy Wall Street, l’ultimo che ha pubblicato.
Teatro di uno dei suoi volumi più famosi, il semiautobiografico Sixties, Years of Hope Days of Rage (1987), gli anni Sessanta erano alla radice del pensiero teorico di Gitlin.

FU PRESIDENTE della Students for a Democratic Society nel 1963 e 1964, succedendo a Tom Hayden, e uno degli architetti della prima grande manifestazione contro il Vietnam tenutasi a Washington nel 1965. Lo stesso anno contribuì a organizzare il sit in anti-Apartheid di fronte al quartiere generale della Chase Manhattan Bank di New York, la prima grossa protesta pubblica contro il coinvolgimento delle corporation USA in Sudafrica.

Ma gli anni Sessanta non ne sono mai diventati la sua gabbia, il che lo ha differenziato da molti intellettuali e studiosi della sua formazione. Sempre attenta all’osservazione e al contesto del presente, la fibra evolutiva, pragmatica, della sua riflessione, lo ha portato, negli anni, anche in conflitto con l’ortodossia dominante della Sinistra.
Eppure il suo controverso The Twlight of Common Dreams: Why American Is Wrecked By Culture Wars (pubblicato nel 1995) oggi si rilegge come un cautionary tale sulle insidie politiche che si nascondono dietro alle «guerre di cultura».
«Mentre la Destra occupa la casa bianca, la Sinistra è impegnata a occupare i dipartimenti di inglese delle università», scrisse allora.
Autore di sedici libri di saggistica, varie poesie e tre romanzi (il quarto, The Opposition, su un gruppo di attivisti anni sessanta, sarà pubblicato in primavera), Gitlin ha dedicato molti dei suoi scritti ai media USA (Inside Prime Time, Watching Television, The Whole World is Watching: Mass Media In the Making and Unmaking of the Left) e attaccandone la progressiva conglomeratizzazione, incoraggiata anche negli anni della presidenza Clinton.

IN UN TESTO in cui rende omaggio all’opera di Gitlin, un amico e – si legge nel testo – un maestro: il critico di media di «The Nation», Eric Alterman conclude così:
«Credo che la sua eredità più grande stia nell’abilità di combinare complessità intellettuale e onestà con l’impegno di una vita nei confronti dei valori dell’umanesimo liberale – il tutto applicato simultaneamente a qualsiasi malattia stessimo attraversando in quel momento storico».

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