Europa

Tobin tax: l’Europa non decide

Riunione a Bruxelles Su 28 paesi Ue, solo 11 d'accordo per tassare le transazioni in azioni, ma resta il conflitto sui derivati: la Francia fa marcia indietro, per la pressione delle sue grandi banche. La Germania teme una nuova delusione dei cittadini, già stupefatti per il Luxleaks. Le ong preoccupate per l'ennesimo rinvio

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 8 novembre 2014

Nuova riunione conclusa con un nulla di fatto a Bruxelles per la tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), tra i ministri delle finanze dei 28. “Si gira in tondo” ha riassunto un diplomatico, su una tassa che in linea di principio dovrebbe venire decisa entro l’anno per entrare in vigore nel 2016. Solo 11 paesi su 28 sono d’accordo per imporre la Tobin tax in Europa (Germania, Austria, Belgio, Estonia, Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna). Gli altri sono all’attacco, minacciano un blocco e hanno già presentato un ricorso alla Corte di giustizia. Joeren Dijsselbloem, ministro delle finanze olandese, spiega che è “difficile immaginare una Ttf che non abbia un impatto sulla Ue nel suo insieme”. Del resto, non c’è neppure accordo tra gli 11 che, sulla carta, sarebbero d’accordo per applicarla. Ogni paese guarda prima di tutto ai propri interessi. C’è accordo su un’imposizione dello 0,1% sugli scambi di azioni, raggiunto nel maggio scorso. Ma la Francia adesso frena sulla tassazione dei prodotti derivati, che avrebbero dovuto essere tassati allo 0,01%. Il problema per Parigi è che le grandi banche francesi, Bnp e Société Générale in testa, sono i campioni europei dei prodotti derivati e adesso minacciano il governo di delocalizzare l’attività in paesi senza tassa. Il ministro delle finanze, Michel Sapin, ha cosi’ timore di penalizzare uno dei settori dove la Francia è più attiva. La Germania, al contrario, vorrebbe una Ttf più bassa, ma applicata a tutti i prodotti finanziari. La Tobin tax fa parte dell’accordo di governo concluso tra Cdu e Spd. Il ministro delle finanze, Wolfgang Shäuble, preoccupato dallo scandalo Luxleaks, ha affermato ieri che “l’Europa deve avanzare anche in materia fiscale, in caso contrario distruggeremo il sostegno pubblico all’integrazione europea e anche alla democrazia”. I piccoli paesi, invece, temono di rimetterci in termini di entrate fiscali.

Le ong gridano allo scandalo. Una parte dei proventi della Ttf avrebbe, difatti, dovuto essere versata all’aiuto allo sviluppo. Secondo Oxfam France, l’indecisione dei ministri delle finanze “è la prova di quello che diciamo da mesi: la rinuncia da parte della Francia a una Ttf ambiziosa, capace contemporaneamente di regolare la finanza e di generare entrate fiscale massicce”. Il mercato dei derivati, difatti, è quello più imponente (ed è quello che più rischia di trasformarsi in bolla finanziaria). E’ cresciuto del 10% negli ultimi due anni, superano il mezzo milione di miliardi di euro. Secondo i dati della Commissione, avrebbe dovuto portare nelle casse degli stati 21 miliardi di euro (contro solo 4,6 miliardi per il mercato azionario). E’ facile immaginare che il grosso topo nel formaggio che gli europei hanno eletto alla testa della Commissione, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, non farà nulla per andare contro l’opposizione del suo paese alla Ttf.

 

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