Tiziano Sclavi, dopo il silenzio
Intervista Il creatore di Dylan Dog, un grande appassionato di Dylan Thomas, pronto a un lungo silenzio stampa concede l'intervista al manifesto per aver votato comunista tutta la vita
Intervista Il creatore di Dylan Dog, un grande appassionato di Dylan Thomas, pronto a un lungo silenzio stampa concede l'intervista al manifesto per aver votato comunista tutta la vita
A tratti Dog ricorda Thomas. Entrambi dannati e donnaioli. Tutti e due affascinati dal mistero e dalla morte. Entrambi, soprattutto, di nome fanno «Dylan». E almeno quest’ultima non è una coincidenza. Ne parla al manifesto Tiziano Sclavi, fumettista e scrittore, papà dell’ «investigatore dell’incubo» e grande appassionato delle poesie e della vita di Dylan Thomas. Al punto che era solito attribuire a tutte le bozze dei suoi personaggi il nome «Dylan» in onore, appunto, del poeta gallese.
«L’unico poeta che riuscivo a leggere – ammette – le poesie in genere non le capisco. E poi lo sentivo vicino perché era alcolizzato». E non è forse un caso che, a differenza di tutti gli altri personaggi di Sclavi, per il celebre Old Boy di Craven Road, quel nome, all’inizio provvisorio anche per lui, rimase per sempre. Dylan, Dylan Dog.
Dalla sua grande villa, eclissata tra i boschi di Venegono in provincia di Varese, dove vive con la moglie Cristina, e raramente mette il naso fuori casa, Sclavi parla di Dog e Thomas. Merce rara le interviste, roba in via d’estinzione per il fumettista, restìo a farsi vedere in pubblico e a parlare con i cronisti e tornato da poco alla penna dopo quasi dieci anni di buio con un libro proprio su Dylan Dog dal titolo più che significativo: Dopo un lungo silenzio (Sergio Bonelli Editore, 144 p).
«A proposito di silenzio. Pensi che qualche giorno fa avevo deciso di proclamare un altro lungo silenzio stampa – confessa Sclavi, appena rientrato a casa dal veterinario dove ha accompagnato uno dei suoi 7 bassotti – Ma ho votato comunista per tutta la mia vita, fino a qualche anno fa, e a voi del manifesto non potevo dire di no».
Dunque in principio c’era Dylan Thomas…
Premetto che io non vado matto per le poesie. Anzi, devo confessare che non le capisco. Soprattutto quelle in rima sciolta. Son fatto così, non le capisco. Ma con Thomas è diverso. Thomas ha fatto saltare in aria tutte le categorie della letteratura. Uno scrittore inclassificabile. Attenzione, non sono un esperto di Thomas, ma un semplice appassionato. Iniziai a leggere le sue opere 50 anni fa. Mi piaceva lo stile sagomato dei versi. È forse l’unico poeta che riuscivo a leggere e a capire. Per il resto la poesia preferivo ascoltarla dai testi dei cantautori. De André e Guccini ad esempio, due grandissimi.
Ecco, ne ha giusto nominati due che hanno tratto ispirazione proprio dalle poesie di Thomas per le loro canzoni. Guccini lo ha fatto per il testo de «La Collina». De André per «Dolce Luna». Ne manca però uno. Uno bello grosso. Anche lui adora Thomas. Si chiama Robert Allen Zimmerman e diventò in arte «Bob Dylan» proprio in onore del poeta. E lo stesso si dice abbia fatto lei con il suo Dog…
Esattamente. In tanti pensavano avessi scelto quel nome per Bob Dylan. In realtà entrambi lo abbiamo fatto per via di Thomas. Bob Dylan è andato addirittura oltre, al punto che scelse di cambiar il suo di nome. Io attribuivo a tutte le bozze dei miei personaggi il nome provvisorio «Dylan». Mi piaceva anche come suonava quel nome. Dog invece viene dal titolo di un libro, Dog, figlio di Mickey Spillane. Lo vidi in vetrina ma confesso di non averlo mai letto.
Cos’altro le piaceva di Thomas?
Mi piaceva soprattutto la sua vita. Il fatto che vivesse fuori dalle regole. Dannato. Un poeta dei pub. Ecco, mi piaceva anche il fatto che fosse alcolizzato. Lo sentivo vicino anche per questo motivo. E poi nelle sue poesie ricorreva spesso il tema della morte, un tema che mi ha sempre affascinato. Come in Edgar Allan Poe, che adoravo. Penso di aver letto quasi tutto di Poe.
Thomas era un gran bevitore, poeta maledetto, un impareggiabile donnaiolo e adorava la musica. Ricorda un po’ Dylan Dog…
(sorride, ndr) Dite? Sai non c’avevo mai pensato. Vi giuro che non è stata una cosa voluta. Però a pensarci bene in effetti qualcosina c’è. Poeta dannato Thomas, dannato anche il mio Dylan.
C’è un mistero attorno alla morte di Thomas che sembra fatto apposta per quel tizio di Craven Road. Il medico che gli avrebbe iniettato una dose fatale di morfina ha un nome da fumetto: si chiamava Felteinstein. A Thomas saldarono addirittura una strana maschera di ferro sul volto dopo il decesso. Si è parlato di complotto.
No, non ne sapevo nulla. Pensavo lo avessero accoppato le sbronze.
Può darsi. Ma da alcune testimonianze non è da escludere che ad ucciderlo fossero state le sue idee. Thomas, in piena Guerra Fredda, frequentava socialisti, anarchici e comunisti. Compagni di bevute con i quali il poeta condivideva il whiskey e anche le idee. Frequentazioni pericolose per uno che veniva acclamato come una rockstar…
Sì, avevo sentito dire. Ma in questo caso non cercate un parallelismo con il mio Dog. Il mio Dylan è apolitico. È vicino ai problemi sociali, vicino alle classi più emarginate. Quello sì. Ma la politica non gli interessa. E poi vive a Londra, in un contesto politicamente diverso dal nostro. Non è che il comunismo c’entrasse molto con l’Inghilterra. Io invece…
Lei invece?
Io ho votato comunista per tutta la mia vita fino a qualche anno fa. E vi dico un’altra cosa: forse avrete letto in giro alcune mie interviste negli ultimi mesi. Io non sono notoriamente un animale mediatico e sono spesso molto restìo a rilasciare dichiarazioni. Qualche giorno fa avevo scelto di proclamare un altro silenzio stampa. Ma mi sarebbe dispiaciuto non fare un’intervista per voi. Con gli altri no, non me ne frega un tubo. Ma a voi del manifesto non potevo dire di no.
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