Il 26 novembre del 2000, moriva a Firenze Sebastiano Timpanaro, un grande latinista e filologo, ma anche un grande compagno. Sempre discreto, sempre preciso e puntuale nella lettura del suo tempo come in quella del passato, si dichiarava marxista e tra i «padri fondatori» apprezzava in particolare Engels, trascurato dai più, e di cui ho letto qualcosa grazie alle sue sollecitazioni… Ho avuto la fortuna di essergli amico, e ho letto con qualche emozione il piccolo libro pubblicato da un piccolo e rigoroso editore, Giometti & Antonello di Macerata, che raccoglie le voci (e si intitola Leopardi e altre voci, pp. 130, euro 16,00) che Timpanaro scrisse per l’Enciclopedia Europea dell’editore Garzanti, e sarebbe bello se Raffaeli o qualche studioso delle più ardite imprese editoriali italiane, confrontasse la megalomane e costosa Enciclopedia einaudiana che pretendeva di essere l’equivalente, per il nostro tempo, di quella di Diderot e degli illuministi, con quella garzantiana, più ampia e solida e apparentemente modesta, ma utilissima anche ad addentrarci nella storia del nostro presente e a capire meglio il nostro passato – ché le voci ne erano sempre affidate a specialisti di chiara fama.

Lavoravo alla Garzanti, negli anni ottanta dello scorso secolo, e feci anch’ io qualche voce su argomenti assolutamente secondari e generici, ovviamente non firmando. Eravamo un bel gruppo di redattori competenti e modesti. Passavano dalla Garzanti molte belle teste, e tra di loro ho, per quanto riguarda l’Europea, un ricordo particolarmente bello di due amici che erano anche dei «pozzi di scienza» ma non lo davano a vedere: Paolo Debenedetti che vi scrisse le più importanti voci riguardanti la storia delle religioni, e appunto Timpanaro, che avevo conosciuto tra Torino e Firenze al tempo dei «Quaderni rossi» (era amico di Panzieri e, dentro l’Einaudi, del senese Luca Baranelli) e del Psiup.

Intelligenza lucidissima per quanto riguardava il passato anche il più lontano (si vedano le voci qui raccolte su Platone e Cicerone…), lo era anche sul presente, che analizzava con una mistura di passione e distacco – da vero scienziato anche in rapporto al presente. Soffriva di agorafobia, e ricordo che quando mi fermavo a Firenze per andare insieme a pranzo dalle parti della Nuova Italia, dove lavorava, dovevo tenerlo sottobraccio quando attraversavamo una strada o una piazza, e che camminava rasente i muri. Anche per questo, forse, i suoi scritti su Leopardi e sull’infinita, «materialistica» pena del vivere, sui nostri irrimediabili limiti, sono così lucidi e partecipi.

Nel volumetto marchigiano, l’ottimo Raffaeli ha raccolto le voci dell’Europea firmate o attribuibili a Timpanaro, e se quella su Leopardi è un breve splendido saggio, non sono meno dense e limpide quelle su Pietro Giordani o Benedetto Croce e su… Platone o Cicerone. E sul suo maestro Giorgio Pasquali.

Non ricordo se Timpanaro abbia scritto qualcosa anche sui «Quaderni piacentini». Ma credo di sì, ed era comunque un nostro attentissimo lettore, prodigo di suggerimenti e anche, talvolta, di critiche… Ha scritto anche molto di psicoanalisi, Timpanaro, e Freud gli era più che familiare.

Un pozzo di scienza, come suol dirsi, ma che non faceva affatto pesare la sua cultura, anche con amici ignoranti e avventurosi come allora ero.