Economia

Tim senza pace: si dimette il Cda per bloccare Elliott

Tim senza pace: si dimette il Cda per bloccare ElliottUn'insegna Telecom – Foto di Reuters

Lotta Straniera Mossa tattica di Vivendi contro la scalata del fondo americano: resa dei conti il 4 maggio. Il gruppo di Bollorè controlla il 23%, ma le minoranze potrebbero unirsi. Bernabè reggente

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 23 marzo 2018

La principale azienda di comunicazioni del paese è lo specchio della situazione politica. Da anni Telecom non ha una proprietà certa e affidabile in grado di rilanciare l’ex monopolista.
IERI È ANDATO IN SCENA l’ennesimo colpo di scena. La scalata ostile del fondo americano Elliot – lo stesso che subentrerà nella proprietà del Milan con il fallimento del cinese Li Yonghong – ha portato alle dimissioni di tutti i consiglieri di Vivendi, il gruppo francese che detiene la maggioranza di Tim e Telecom.
SI DIMETTONO TUTTI i consiglieri, tranne Franco Bernabè che prende le deleghe di Sparkle e diventa vicepresidente e l’ad israeliano Amos Genish, per far decadere il cda e convocare una nuova assemblea il prossimo 4 maggio, che di fatto blocca l’iniziativa del fondo Elliott di revocare sei consiglieri francesi perché considerati in conflitto di interessi. Si dimette anche il vicepresidente Giuseppe Recchi, che era passato indenne all’arrivo dei francesi. Con questa mossa, Vivendi punta a contrastare l’iniziativa del fondo Elliott che, con una quota di capitale superiore al 5 per cento cercava di inserire 6 consiglieri di sua fiducia nel cda e revocarne altrettanti eletti da Vivendi.
LA SFIDA A VINCENT BOLLORÉ del fondo attivista di Paul Singer – che vuole ribaltare la governance di Telecom – slitta quindi al 4 maggio, quando si terrà l’assemblea – appena convocata, per rinnovare l’intero consiglio con il meccanismo del voto di lista. Alla peggio – dovesse andare male la “conta” per i francesi – Vivendi, col suo 23,94 per cento, riuscirebbe comunque a coprire i cinque posti in consiglio riservati alla minoranza.
NEL FRATTEMPO LA “REGGENZA” è affidata all’ex ceo Franco Bernabè, nominato vicepresidente e consigliere delegato con le deleghe su sicurezza e Sparkle, lasciate da Recchi, che non potevano essere attribuite a uno straniero.
Il presidente di Tim Arnaud de Puyfontaine al termine del cda ha spiegato: «Nell’interesse di tutti gli azionisti, voglio affrancare il consiglio dal clima di incertezza che si è creato e che distoglie l’attenzione da quella che è la nostra priorità, cioè la rapida realizzazione del piano strategico DigiTim. Confermo il mio impegno a favore del progetto di trasformazione di Tim e sono convinto che questa decisione darà ulteriore stabilità e sostegno al nostro ad Amos Genish e alla sua squadra, permettendogli di creare valore per tutti i nostri stakeholder».
VIVENDI, PRIMO AZIONISTA di Tim, si allinea con una sua nota ufficiale alla dichiarazione di de Puyfontaine. «Alla luce del tentativo guidato dall’hedge fund attivista Elliott Management, noto per il suo track record di iniziative a breve termine, di smantellare Tim, i tre membri del consiglio di amministrazione che rappresentano Vivendi, la quale sostiene il piano unanimemente».
Anche altri cinque membri del consiglio hanno lasciato, con conseguente maggioranza dei componenti del Consiglio di amministrazione che si sono dimessi, l’Assemblea degli azionisti si terrà a maggio «per consentire agli azionisti di Tim di nominare i membri del Consiglio che desiderano e quale politica seguire» conclude la nota.
L’UNICA NOTIZIA POSITIVA per i lavoratori è lo stop al piano che prevedeva quasi 12mila esuberi, circa il 20 per cento dei dipendenti in Italia. Un piano rigettato dai sindacati.
L’ALTRA MOSSA PREVISTA dai francesi- e dunque sospesa – è la separazione delle reti.
«È uno scenario pericoloso per la sicurezza nazionale, oltre che per il futuro di un segmento qualificato del nostro settore industriale e di servizi. Le reti di Tim sono un asset decisivo per l’interesse nazionale dell’Italia. Il prossimo governo deve intervenire al fine di riportare le reti sotto controllo pubblico», ha denunciato Stefano Fassina di Leu.

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