Tim Hecker, tra elettronica e sperimentazione segnali di musica del futuro
Incontri Parla l'artista canadese - protagonista della rassegna Inner Spaces - che ha pubblicato l'album "No highs"
Incontri Parla l'artista canadese - protagonista della rassegna Inner Spaces - che ha pubblicato l'album "No highs"
Un ritorno quello di Tim Hecker a San Fedele, dove è stato protagonista di un concerto inserito nel programma della rassegna Inner Spaces, arrivata all’undicesima edizione. Sotto la direzione artistica di padre Antonio Pileggi, è una manifestazione che mette in dialogo musica e fede, esplorando generi strumentali, l’elettronica, l’ambient, composizioni elettroacustiche, con una forte componente spirituale. A San Fedele Hecker ha presentato il suo ultimo album No highs: siamo lontani dalle bordate noise dei primi lavori, è un disco che a modo suo rientra nel grande insieme dell’ambient, mantenendo una grandissima intensità per tutta la sua durata, riflettendo i difficili momenti di isolamento vissuti durante la pandemia.
«MOLTI PITTORI a un certo punto della loro carriera hanno avuto una fase in cui hanno realizzato quadri in scala di grigi», spiega Hecker. «E questo per me è stato un momento come questo, una scala di grigi, dove le cose sono più minimali, meno estreme. Non mi interessava fare qualcosa di sovraccarico, o magniloquente. Ho lavorato meno sull’eccesso, su suoni esplosivi. Ho lavorato a partire da pulsazioni, lavorando sulla maggior parte degli strumenti da solo». Tra i pochi collaboratori coinvolti nel disco c’è il sassofonista Colin Stetson, amico di lunga data di Hecker e che, come lui, vive a Montreal. Quanto alla polemica contro la musica ambient, «io stesso vengo spesso associato a questo genere musicale, ma non mi ci vedo, non faccio musica morbida, che sia in qualche modo terapeutica. Credo che spesso questo genere musicale serva alla nostra società come farmaco, come cura rilassante. E non è questo che io voglio fare».
Ho suonato in minuscoli scantinati punk così come al Madison Square Garden, penso sia incredibile aver avuto la possibilità di costruirmi una carriera con la musica
La dimensione spirituale sembra emergere moltissimo in questo disco. «Sicuramente, parlandone dal punto di vista personale, durante la pandemia ho cominciato a meditare molto di più, e questa musica non è che un riflesso di tutto ciò. Sono tornato a essere umano in un modo che esprime la mia curiosità sull’esistenza, dando forma alle mie creazioni elettroniche, chiedendomi che segno sto lasciando al mondo. Credo che se non mi sentissi così connesso spiritualmente non farei musica come questa, perché è molto carica emotivamente, è davvero intensa».
NEGLI OLTRE VENT’ANNI di carriera, Tim Hecker, ispirato sperimentatore, ha collaborato con moltissimi musicisti, dalla band degli Isis a Ellen Allien, dai Mogwai agli Interpol, all’amico Ben Frost. L’ultimo brano pubblicato è Cayo, singolo della musicista Arca, dal tono intimista e lirico, su una base elettronica piena di distorsioni e glitch. «Collaborare con altre persone da cui sei stato ispirato è una delle parti più belle del fare musica», riflette Tim Hecker. «Partecipare a questi pezzi e lavorare con due menti è una bella alternativa all’impresa solitaria del fare musica ed è un modo per approfondire alcune cose su cui sto lavorando».
Esplorare contemporaneamente direzioni diversissime tra di loro è una caratteristica che accompagna sempre il lavoro di Tim Hecker. «Ho trascorso diversi anni a fare musica, posso creare qualsiasi suono io voglia, che sia una sinfonia, una base drill, o un suono metal», spiega. «Adesso ho questo bel periodo di vuoto davanti a me, anche se è già passato un anno da quando ho terminato il disco. Ho diverse idee cui sto lavorando ma non ho ancora una direzione, può essere che poi non faccia un disco per altri cinque anni, non lo so. Ma sento che ora il mio ritmo di lavoro sarà più lento: continuerò semplicemente ad andare in studio ogni giorno, attaccando i miei strumento e suonando, fino a che l’idea giusta arriva».
MA COME si trova ancora l’ispirazione, dopo dodici album? «È diverso ogni volta, ed è sicuramente difficile. Ho suonato in minuscoli scantinati punk così come al Madison Square Garden, penso sia incredibile aver avuto la possibilità di costruirmi una carriera con la musica e cerco sempre di ricordarmi qual è l’attitudine che mi ha portato a tutto questo. Ogni volta cerco di capire quale sia il senso. La nostra società sottovaluta la musica, mi sembra le venga data pochissima importanza. E per me è invece importante trovare modi per essere sempre entusiasta di quella che sarà la musica del futuro, che deve ancora arrivare».
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