Tifosi d’Italia, una febbre non solo giovanile
Sport «Tifo. La passione sportiva in Italia» di Daniele Marchesini e Stefano Pivato, dal Mulino
Sport «Tifo. La passione sportiva in Italia» di Daniele Marchesini e Stefano Pivato, dal Mulino
Se sotto il profilo medico il tifo entrò per la prima volta nel vocabolario a metà ‘800 e segnò indelebilmente il calo demografico italiano per le tante morti causate, per gli antichi greci il termine tifo significava letteralmente: fumo, vapore, offuscamento dei sensi, stato febbrile. E ben lo sappiamo oggi quanto questa parola potrebbe facilmente essere riferita alla situazione politica e sociale dell’Italia. Sul piano sportivo il significato del tifo ha subito varie evoluzioni, soprattutto nel corso della seconda metà del ‘900, fino a indicare situazioni di estrema violenza.
Dall’inizio degli anni ‘20 del secolo scorso la parola acquisì un significato nuovo fino a identificarsi totalmente con la passione sportiva, che il fascismo esaltò per alimentare i campanilismi locali, ma anche per addormentare le coscienze e distrarle dalla violenza dello squadrismo. Il termine tifo fa capolino per la prima volta nel 1923 sulle pagine del settimanale Il Calcio che si stampava a Genova, fu Giovanni Dovara ad attribuirgli il significato odierno: «onde più o meno sono infetti in questa stagione gli appassionati del Giuoco del Calcio. Fenomeno di passione acuta a tal punto da rivestire e da assumere, in certi casi e in certe persone, i fenomeni più strani, più patologici». Sulle colonne di un quotidiano nazionale come il Corriere della Sera compare per la prima volta nel 1927. Numerosi scrittori nel corso del ‘900 vi fanno riferimento nelle loro opere, da Giovanni Arpino e Beppe Fenoglio, che non mancano di parlare del tifo per la pallacorda, gioco di importazione francese praticato prevalentemente negli sferisteri sabaudi e poi nell’Italia del nord, fino ad Alessandro Baricco, che in Barnum fa riferimento al tifo per la palla ovale: «Il rugby è uno sport che respira. Te ne accorgi dopo un po’, te lo fa capire il boato della folla che va e viene come un’onda sulla spiaggia». Forse la migliore definizione del fenomeno l’ha data Pier Paolo Pasolini che tifava per il Bologna:«Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita».
Daniele Marchesini e Stefano Pivato, due storici con lo sguardo attento allo sport, hanno scritto una storia dell’Italia del ‘900 attraverso il tifo. Tra i tanti sport, il tifo riguarda anche l’automobilismo esaltato dal futurista Marinetti che sul piano sportivo ha trovato la sua massima espressione in Tazio Nuvolari, il ciclismo degli anni della contrapposizione Coppi-Bartali fino al dualismo calcistico dell’asse industriale Milano-Torino e al campanilismo locale che trova riscontro nella tesi di Carlo Cattaneo sull’Italia delle cento città spina dorsale del nostro Paese. Marchesini e Pivato anche in passato hanno scritto pregevoli libri come L’Italia del Giro d’Italia il primo e Storia sociale della bicicletta il secondo. Recentemente hanno pubblicato un libro scritto a due mani: Tifo. La passione sportiva in Italia (il Mulino), una pubblicazione che va oltre la palla di cuoio e non cede mai alla retorica del «Bar Sport» ma, a differenza di tanti libri sul calcio, analizza il fenomeno sotto il profilo storico e sociale in maniera trasversale ai vari sport. Entrambi gli autori sono avvezzi a frequentare archivi e biblioteche per consultare le fonti, una garanzia per il lettore in tempi di traboccante superficialità e di abbondanza della chiacchiera sportiva da parte di tanti autori. Il tifo degli italiani durante la Guerra Fredda, si nota soprattutto nelle vie d’Italia intitolate ai grandi campioni: 111 a Fausto Coppi «il comunista», 10 a Gino Bartali « il democristiano», al campione del primo automobilismo spregiudicato Tazio Nuvolari sono intitolate 48 vie, infine a Ondina Valla 6. Numerosi gli appassionati che dopo una gara strepitosa scrivevano lettere indirizzate a casa del «Signor Tazio Nuvolari» per comunicargli la decisione che il prossimo figlio avrebbe portato il suo nome con la speranza che diventasse anch’egli un campione dei motori roboanti.
Se oggi a speculare sul tifo sono le pay-tv, ieri si faceva leva sulle copertine dei quaderni dedicate alle imprese dei grandi campioni e sui calendarietti che i barbieri regalavano ai clienti più affezionati alla brillantina. In tempi più recenti anche i cantautori hanno scritto alcune canzoni dedicate ai campioni da Bartali di Paolo Conte, simbolo dell’Italia ingenua del secondo dopoguerra, a Nuvolari di Lucio Dalla, da Una vita da mediano di Luciano Ligabue fino a Il bandito e il campione dedicata da Francesco De Gregori all’amicizia tra Costante Girardengo e il bandito anarchico Sante Pollastre, arrestato a Parigi proprio mentre si era recato a vedere una gara di Girardengo.
Nel tifo si riflette la storia sociale, politica ed economica di un Paese, ben rappresentata nel libro di Marchesini e Pivato, anche se a volte si ha l’impressione che si siano fatti prendere la mano e abbiano voluto riportare informazioni non sempre strettamente attinenti al tema, una malattia del nostro tempo alla quale i due autori sembrano non sfuggire.
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