«La verità non è il punto. La domanda è posso seguire l’immaginazione dell’autore? Ciò è anche quello a cui guardo. Non mi riferisco a me stesso e non si tratta di verità o finzione, è quello che intendo quando dico dove comincia la mia arte», afferma Thomas Demand (Monaco 1964, vive e lavora tra Berlino e Los Angeles). L’attenzione ai dettagli è fondamentale per l’artista tedesco di cui è possibile vedere il lavoro anche nella collettiva Afterimage al MAXXI L’Aquila (fino al 19 febbraio 2023). L’analisi della storia contemporanea, per lui, è sempre negoziata dal passaggio da macro a micro e viceversa, attraverso la rappresentazione di momenti-chiave che svelano il loro «naturale» equilibrio instabile nell’apparire convincentemente reali, ma attraversati con la stessa intensità da uno straniante alone di finzione. «Mi piacciono i cerchi tautologici, come Gertrude Stein che scrive Rose is a rose is a rose is a rose. Ancora non capisco cosa significhi, o meglio lo so esattamente, ma non saprei analizzarlo. Fin dall’inizio ho intuito che la fotografia non poteva documentare il mondo, ma vi poteva portare qualcosa di cui non sappiamo nulla.»
L’estrema sintesi di questo pensiero, che è – come si diceva – l’espressione del tentativo di conoscenza di una realtà che si nutre di ambiguità, è rappresentata dal raffinatissimo libro tridimensione Mundo de Papel, pubblicato nel maggio 2022 (edizione limitata di 1000 copie) dalla casa editrice inglese MACK in co-produzione con la Fundación Botín, in occasione della mostra personale Thomas Demand: Mundo de Papel (a cura di Udo Kittelmann) che si è conclusa recentemente nell’avveniristico Centro Botín di Santander in Cantabria (Spagna). Tra i progetti editoriali più ambiziosi di Demand, questa declinazione di «mondo di carta» riporta all’origine del suo stesso processo artistico. L’artista, infatti, utilizza da sempre il linguaggio fotografico per documentare le sue effimere sculture di carta (ha studiato scultura all’Accademia d’Arte di Düsseldorf), ma a partire dal 1993 ha iniziato a realizzare appositamente i modellini iperrealisti in scala 1:1 (spesso con la collaborazione con importanti studi internazionali di architettura come Caruso St John Architects) per fotografarli e poi distruggerli, demandando quindi alla fotografia il ruolo di unico «testimone».

Un percorso di paradossi visivi che sollecita la memoria di un altro visionario progetto che l’ha preceduto – In scala – realizzato negli anni Settanta da Luigi Ghirri (Scandiano 1943 – Reggio Emilia 1992). Affascinato dal parco tematico di «Italia in miniatura» a Viserba di Rimini, Ghirri tornò più volte a fotografare la creazione di Ivo Rambaldi, presentando la sua indagine per la prima volta, nel 1979, allo CSAC di Parma (una sezione di vintage e documenti è esposta fino all’8 gennaio 2023 nella mostra Luigi Ghirri, Italia in miniatura e nuove prospettive al Palazzo del Musei di Reggio Emilia, insieme ai lavori nati dal workshop di Joan Fontcuberta e Matteo Guidi all’ISIA di Urbino).

Nel caso di Thomas Demand spesso è la notizia di cronaca a innescare la curiosità d’indagine di un evento socio-politico della contemporaneità che appartiene alla memoria collettiva. Il luogo dell’accadimento diventa uno spazio architettonico di carta e cartone colorato che riproduce con dovizia di particolari quello reale: dall’ultimo pasto consumato da Whitney Houston nella suite del Beverly Hilton in California al tunnel sotto Pont de l’Alma, a Parigi, dove hanno perso la vita nel terribile incidente Lady Diana e Dodi Al-Faysed; dalla nave da crociera Diamond Pincess, su cui nel febbraio 2020 fu confermato il primo caso di Covid-19, alla sala di controllo della centrale nucleare di Fukushima, teatro del disastro del 2011.

Ma perché distruggere i modellini dopo averli fotografati? Si chiede lo scrittore latinoamericano Mario Vargas Llosa, autore del testo che accompagna la pubblicazione. Vargas Llosa cita Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein per poi giungere ad un’ipotesi plausibile: «Per una semplice ragione: questi oggetti erano domande formulate da Thomas durante la loro fabbricazione, ed egli ha trovato la risposta in quelle immagini». Nel libro pop-up (il design è di Naomi Mizusaki, fondatrice di Supermarket Studio) i meccanismi della carta veicolano anche una componente giocosa e di continua sorpresa che danno al progetto un imprinting di apparente leggerezza.